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di Ottavio De Bertolis

Vogliamo ora considerare la seconda parola della preghiera del Signore: non solo abbiamo invocato Dio come Padre, ma in più aggiungiamo “nostro”. Non è un’aggiunta poco significativa: la preghiera infatti non ci pone in una sorta di individualismo, ma ci apre al rapporto con gli altri. Nessuno prega per se stesso, si potrebbe dire, ma ogni preghiera, anche quella rivolta per i bisogni più personali, è sempre una preghiera nella Chiesa e per la Chiesa.
Nasce in un contesto comunitario, e sfocia per il bene di tutti: proprio come le preghiere liturgiche, quelle della Messa per intenderci, non sono mai formulate in prima persona singolare, con un “io” iniziale, ma sempre con il “noi”, proprio perché sono rivolte per il bene di tutti. Così, anche se il sacerdote celebrasse la Messa da solo, dovrebbe sempre dire “preghiamo”, prima di ogni orazione.

Quindi non si prega da soli, né mai per sé soli, ma sempre con tutta e per tutta la Chiesa. Ma il significato del “nostro” non sta tutto qui. Il punto capitale è che se Lui è il Padre nostro, noi siamo figli, e dunque fratelli.
La fraternità nasce dunque dalla considerazione che nessuno di noi ha amato Dio, ossia dal fatto che noi tutti, a causa del peccato, siamo estranei gli uni agli altri, il che significa che noi amiamo solo quelli che ci amano, i nostri parenti (se va bene…) o le persone a noi vicine per altri motivi.
Con queste parole ci scopriamo quindi lontani da Dio, ma, al tempo stesso, scopriamo che Lui si è fatto vicino a tutti noi, senza che nessuno lo avesse chiesto né tantomeno meritato: il che significa che ci scopriamo perdonati, accolti, ricevuti nella sua fedeltà. Ne deriva che, se Lui ci ha accolto, anche noi dobbiamo accoglierci, nella stessa gratuità, nella stessa generosità. “Noi amiamo, perché Lui ci ha amato per primo”, dice l’evangelista Giovanni. Dire “nostro” significa quindi fare memoria ogni giorno del suo “sì” non solo a me, ma anche a tutti gli altri; in altri termini, significa ricordare il Suo perdono.
Vengono in mente le parole di una parabola a tutti ben nota: “Un uomo aveva due servi. Uno gli doveva diecimila talenti, uno cento denari. Non avendo essi di che pagare, condonò a tutti e due”.
Questa è dunque la radice della nostra fraternità: noi non nasciamo fratelli, al contrario nasciamo divisi ed estranei per molti motivi gli uni agli altri, e divisi da Lui, per quella realtà che noi chiamiamo il peccato, quella distanza che noi stessi mettiamo tra noi e Lui. Ma Egli la supera, facendosi prossimo, vicino, a noi. “Non dovevi anche tu perdonare al tuo fratello, come io ho condonato a te?”.
Potremmo dire che se la parola “padre” ci porta verso l’alto, in un movimento verticale, nella contemplazione della gratuità dell’amore significata da quel termine, quando diciamo “nostro” questo movimento si fa invece orizzontale, perché ci conduce alla considerazione di questa gratuità effusa su tutti noi, come il sole fa splendere i suoi raggi sui giusti e sui malvagi.
Con la prima parola saliamo a Dio, con la seconda guardiamo, per così dire, i nostri rapporti con gli altri come filtrati da questa luce. Non posso dunque dire in sincerità “padre nostro” se non perdono, come io stesso sono stato perdonato. Ma potremmo anche dire che, per poter dire “padre nostro”, cioè per poter perdonare quando questo ci è umanamente difficile, dobbiamo prima dire “padre”, ossia guardare a Colui che per primo ci ha amato.
In fondo, dire “padre nostro” è una specie di sfida: Dio ci sfida a guardare quella persona che mi sta accanto, e che magari mi ha fatto del male, o mi è per tanti buoni motivi estranea, non come a un nemico, ma come a uno che, pur non essendomi scelto, mi trovo vicino, amato da Dio immeritatamente come io lo sono con la stessa gratuità: in altri termini, come un fratello. Infatti la fraternità non è un rapporto a due, io e l’altro: se rimanessimo qui, potremmo non vedere altro che la nostra reciproca diversità. La fraternità è invece un rapporto a tre: io, l’altro, e Colui che ci ha posti l’uno accanto all’altro, destinatari del medesimo amore.

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