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Caro San Giuseppe,
all’inizio di questo mese di febbraio sono venuto a cercarti a Gerusalemme. Sapevo che saresti venuto al tempio per la presentazione di Gesù. E lì ti ho aspettato insieme al vecchio Simeone e alla profetessa Anna. Domani saranno passati quaranta giorni dalla nascita di Gesù a Betlemme e la legge ti obbliga a presentare la tua offerta al tempio in segno di gratitudine per la paternità, ma anche per rende a Dio l’omaggio riconoscendolo padrone assoluto della vita. Nel caso tuo la padronanza di Dio sulla sua creatura è doppia: è suo figlio, è un frammento di eternità fatta carne umana.
Durante la tua attesa, caro San Giuseppe ho ascoltato i sentimenti del vecchio Simeone; egli come uomo di fede aspettava l’evento della nascita del Messia per il popolo d’Israele.  La prolungata e secolare notte del male e delle tenebre avevano acuito il desiderio della venuta del messia. E’ pur vero che orme di luce, ogni tanto come meteore apparivano, ma poi tutto cadeva nella delusione. Sentivo nelle parole di Simeone lo sconforto del popolo eletto nel vedersi  governato da oltre cinquant’anni da una nazione straniera. Il disagio e l’amarezza della condizione politica e sociale diventavano pressanti invocazioni a Dio perché mandasse finalmente il messia a liberare dalle catene dal dominio dell’impero romano quel popolo che Dio aveva scelto e prediletto nella storia e per essere la sentinella della presenza della bontà del Dio misericordioso sull’intera umanità bisognosa di luce.

Ascolta!

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