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di Ottavio De Bertolis

Gesù nel vangelo ci invita a chiedere con fiducia a Dio tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Ricorderete tutti le Sue parole così consolanti: “cercate e troverete, chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto”. Anzi, Gesù ci invita a chiedere sapendo già da subito che quel che avremo chiesto sarà esaudito. San Giovanni, poi, nella sua lettera, ci dice espressamente che tutto quel che chiediamo lo otteniamo, e anzi, sappiamo già di averlo ottenuto. Ma allora, perché a volte succede che quel che domandiamo non lo otteniamo? Dio ci inganna, o ci respinge, o è semplicemente un’illusione per dei poveracci che non hanno alcuna speranza? Penso che si possa provare a rispondere a questa domanda, così vera e così sentita da molti, e in fondo da tutti noi, almeno qualche volta, in molti modi.

Una risposta particolarmente significativa mi pare quella data da sant’Agostino. La riporto in latino, perché è molto bella da dirsi, e facile da ricordare: naturalmente la tradurrò. Dice sant’Agostino che non otteniamo quel che chiediamo perché “mali, male, mala petimus”. “Mali”: cioè non otteniamo perché siamo cattivi. Siamo cattivi quando non abbiamo misericordia con gli altri, i quali ci chiedono aiuto, tempo, denaro, pazienza, compassione, disponibilità, perdono. E allora perché Dio dovrebbe aiutarci, se noi non aiutiamo gli altri? Anzi, in questo modo vuole, per così dire, farci capire che come desideriamo misericordia, così dobbiamo dare quella misericordia che possiamo dare, se vogliamo ottenerla da Colui che è tutto misericordia. “Male”: non otteniamo perché domandiamo malamente, nel senso che la nostra preghiera non è una preghiera perseverante, umile, fiduciosa, grata. Molte persone domandano solo per sé, anziché domandare anche per gli altri; alcuni poi domandano non  rimanendo uniti alla Chiesa, cioè non frequentando i sacramenti e non unendosi alla preghiera dell’assemblea liturgica, ma quasi per conto proprio, senza avvalersi della mediazione della Chiesa. La preghiera non fatta in stato di grazia, cioè in peccato mortale, è un altro esempio di preghiera che non sale fino a Dio; se non siamo almeno pentiti dei nostri peccati, cioè dotati di un cuore contrito e umiliato, come possiamo chiedere in modo giusto e retto? Sarebbe come dire a Dio: “Di te non mi importa molto nella mia vita, nel modo in cui io vivo, nelle mie scelte di ogni giorno, ma tu mettiti a mio servizio e fa’ quel che ti chiedo”. A una simile domanda Dio potrebbe dire: “Figlio mio, ma sono io che devo servire a te, o non piuttosto tu che devi servire a me? Ricordati che solo se uno obbedisce a me io poi obbedirò a lui”. Infine possiamo domandare “mala”, cioè cose cattive, e dunque Dio non ci esaudisce perché quel che domandiamo non è quel che veramente ci serve. Ricordiamo che i beni della vita, tutti, anche quelli più evidenti (salute, lavoro, figli), non sono beni assoluti: bene assoluto è Dio, e la sua grazia. Questa, se la domandiamo, ci sarà sempre data, e in misura sovrabbondante: del resto Gesù ci spinge per prima cosa a cercare il regno di Dio, per avere tutto il resto in sovrappiù. Inoltre ci inviata chiedere espressamente lo Spirito Santo, che è il dono vero e più grande. Quando avremo lo Spirito, cioè la grazia, avremo tutto quel di cui abbiamo bisogno. Con Lui saremo in grado di vivere la nostra vita, con le sue inevitabili difficoltà e fatiche, seguendo Gesù dove Lui ci porta, e contenti di dove ci sta portando, anziché volerlo portare dove noi invece vogliamo. Il che significa, in fondo, vivere la preghiera stessa che Gesù ci ha insegnato, quella propria di un’anima che si fida di Dio: “sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra”.

 

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