Abramo e i suoi figli
di Rosanna Virgili
Mentre Giuseppe, sposo di Maria, lo vediamo alle prese con un unico figlio, Gesù – ancorché non siamo certi che non avesse avuto in passato altri figli – sappiamo dalla Genesi che Abramo ebbe, invece, ben otto figli! Il primo gli nacque dal ventre di una schiava egiziana che si chiamava Agar che glielo partorì da parte della sua moglie legittima Sara.
Egli fu il frutto del suo autunno più che della sua primavera, dato che Abramo aveva già raggiunto gli ottantasei anni quando quegli fu generato e fu chiamato Ismaele: «Dio ascolti!». Il secondo uscì, invece, dal grembo di Sara, proprio come un miracolo, dopo che le sue regole femminili si erano interrotte; il suono del suo nome come il riso dapprima scettico ma poi radioso della stessa madre: Isacco che significa: «figlio del sorriso». Ma dopo la morte di Sara, Abramo, trovatosi in condizioni di vedovanza, prese di nuovo una moglie e, questa volta, fu il turno di Ketura, la quale «gli partorì Zimran, Ioksan, Medan, Madian, Isbak e Suach» (cf Gen 25,2). Con i loro discendenti questi ultimi furono gli eponimi dei popoli dell’Arabia: i Madianiti, i Sabei, i Dedaniti e molti altri. Dovette essere innanzitutto in virtù dei suoi numerosi figli che Dio cambiò il nome ad Abramo che vuol dire: “padre del popolo”, in: Abraam, cioè: «padre di una moltitudine di popoli» (cf Gen 17,5). A dispetto di quanto egli divenne, più tardi, per il popolo “eletto” che tentò di farne un possesso esclusivo, Abramo si presenta come il ceppo da cui discendono rami diversi e aperti su uno spazio geografico vasto, tutti ricchi di frutti e di figli.
I primi due figli
L’esperienza della paternità di Abramo è davvero un romanzo dove le sorprese non finiscono mai. Fino alla soglia della vecchiaia questo pastore immigrato dalla Caldea e arricchitosi in Canaan, se ne andava senza figli. E quando ormai le sue speranze si stavano spegnendo arrivò per lui il primo figlio, frutto dell’iniziativa di Sara che gli imprestava la sua schiava. Ismaele appare, così, più che la primizia della virilità di Abramo, l’opera degli artifici di Sara. Per soddisfare gli eventuali scopi egoistici di un padre, ad Abramo sarebbe bastato quel figlio dove il suo nome sarebbe stato chiamato e le sue tante proprietà avrebbero trovato un erede nelle cui vene scorreva il suo sangue. Ma come la maternità anche la paternità è legata all’estro della vita e alla creatività di Dio… fu così che arrivò Isacco, figlio dello scompiglio. Quando, infatti, il secondogenito fu cresciuto, durante la festa e il banchetto che Abramo diede per il suo svezzamento, successe che: «Sara vide che il figlio di Agar l’egiziana scherzava con il figlio Isacco. Disse allora ad Abramo: “scaccia questa schiava e suo figlio, perché il figlio di questa schiava non dev’essere erede con mio figlio Isacco”» (Gen 21,9-10). Ed ecco il primo dolore del padre Abramo; esso bruciò per suo figlio Ismaele: «La cosa sembrò un gran male agli occhi di Abramo a motivo di suo figlio» (Gen 21,11), ciò nonostante il patriarca si mostrò docile alla volontà di chi, dopo averglielo procurato (la moglie Sara!) ora glielo toglieva: «Abramo si alzò di buon mattino, prese il pane e un otre d’acqua e li diede ad Agar, caricandoli sulle sue spalle; le consegnò il fanciullo e la mandò via» (Gen 21,14). Perso un figlio, dopo aver desiderato di averne per tutta la vita, viene il momento in cui Abramo rischia di perdere anche l’altro. Il figlio del sorriso di Sara che Dio in persona – sui piedi degli angeli di Mamre – gli aveva promesso e regalato quando aveva cent’anni suonati, gli viene richiesto da Dio in offerta sacrificale. «Dio mise alla prova Abramo e gli disse: “Abramo!”. Risposi: “Eccomi!”. Riprese: “Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su un monte che io ti indicherò”». Senza opporre minima resistenza: «Abramo si alzò di buon mattino, sellò l’asino, prese con sé due servi e il figlio Isacco… e si mise in viaggio verso il luogo che Dio glia aveva indicato» (Gen 22,1-3). Con la stessa gratuità con cui aveva avuto la gioia dei figli, così egli si mostrò pronto a perderli: Abramo non fu mai un padre-padrone! Lo vediamo colmo di desiderio verso la discendenza ma anche colmo di castità verso i suoi figli. Dalla pedagogia paterna di Dio Abramo imparò che i figli non si possono possedere ma solo accogliere, custodire e amare.