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Il “Settenario di meditazioni in onore di San Giuseppe” di Sant’Alfonso de’ Liguori

di Bruno Capparoni

Don Guanella nel 1914 scriveva al redentorista p. Claudio Benedetti: «Mi ho come presente il S. Alfonso benedetto e le sue opere e i libri santi, e mi sento un émpito di desiderio di ottenere anche a noi tutti, miserelli della Casa della Provvidenza, un raggio di luce e di calore che infiammò tanto l’animo di questo provvidenziale apostolo dei figli e delle genti del popolo» (E 351). 

Siamo totalmente d’accordo con don Guanella nell’affermare che S. Alfonso de’ Liguori (1696-1787)  è stato ed è tuttora apostolo provvidenziale di devozione autentica per la pietà dell’umile popolo cristiano. 

Nel 1758, mentre era in pieno svolgimento la missione di sant’Alfonso tra la povera gente della Campania, egli diede alle stampe il “Settenario di meditazioni in onore di S.Giuseppe per li sette giorni precedenti alla sua festa” e tale fu l’accoglienza riservata a questo libretto dai devoti che nello spazio dei successivi 25 anni ne apparvero ben 14 edizioni.

Lo stile di S. Alfonso comunicava (e comunica) dolcezza di pietà, devozione e fervore. Egli non cade mai in inopportune esagerazioni, ma nutre le persone semplici con il solido alimento della fede e della preghiera. Le poche linee che trascriviamo di seguito ne sono una prova evidente.

A Napoli, dove S. Alfonso operava come missionario popolare prima di diventare nel 1762 vescovo di Sant’Agata dei Goti, la devozione a S. Giuseppe era largamente diffusa e il popolo accorreva alle numerose chiese dedicate al Santo Patriarca. Era tradizione di celebrare solennemente i sette mercoledì precedenti alla festa del 19 marzo; da qui l’origine di questo Settenario, che accompagnava la meditazione dei semplici e ne infiammava il cuore.

ANTOLOGIA

Premessa

[...] Specialmente ogni fedele (dovendo ognuno morire) deve esser devoto di S. Giuseppe, al fine di ottenere una buona morte. Tutto il mondo cristiano riconosce S. Giuseppe per avvocato de’ moribondi e protettore della buona morte [...] S. Giuseppe anche in riguardo dell’assistenza fattagli da Gesù e da Maria nella sua morte, ha il privilegio d’impetrare una santa e dolce morte a’ suoi servi. Onde egli invocato da loro in morte verrà a confortarli, apportando loro con sé anche l’assistenza di Gesù e di Maria. Di ciò ve ne sono molti esempi.[...] Un certo mercante della città di Valenza soleva ogni anno nel giorno di Natale invitare a mensa un vecchio ed una donna che allattasse un bambino, in onore di Gesù, Maria e Giuseppe. Questo devoto apparve dopo la sua morte a chi pregava per lui e gli disse che, nell’ora del suo passaggio, furono a visitarlo Gesù, Maria e Giuseppe, e gli dissero: «Tu in vita ci riceveresti in persona di quei tre poveri in casa tua; ora siamo venuti per riceverti in casa nostra». E ciò detto, l’avevano condotto in paradiso.  (S.Alfonso de’ Liguori, Opere ascetiche, X, Roma 1968,  p.328-331)

Primo Giorno   

[...]Considera la pena di Giuseppe in vedersi in quella notte, in cui nacque il Verbo divino, scacciato con Maria da Betlemme, sì che furono costretti a stare in una stalla. Qual fu la pena di Giuseppe in vedere la sua santa sposa, giovinetta di quindici anni, gravida vicina al parto, tremar di freddo in quella grotta umida ed aperta da più parti! Ma quanta poi dovette essere la sua consolazione, quando intese da Maria chiamarsi e dire: «Vieni Giuseppe, vieni ad adorare il nostro Dio bambino, ch’è già nato in questa spelonca. Miralo quanto è bello: mira in questa mangiatoia su di questo poco fieno il Re del mondo. Vedi come trema di freddo, chi fa ardere d’amore i Serafini! Ecco come piange quegli ch’è l’allegrezza del paradiso!».

Or qui considera qual fu l’amore e la tenerezza di Giuseppe, allorché ammirò coi propri occhi il Figlio di Dio fatto bambino; e nello stesso tempo udì gli Angeli che cantavano intorno al loro nato Signore, e vide quella grotta ripiena di luce! Allora genuflesso Giuseppe piangendo per tenerezza disse: « Vi adoro, vi adoro sì mio Signore e Dio; e qual sorte è la mia di essere il primo dopo Maria a vedervi nato e di sapere che nel mondo voi volete esser chiamato e stimato figlio mio! Dunque lasciate che anch’io vi chiami e da ora vi dica: Dio mio e figlio mio, a voi tutto mi consacro. La mia vita non sarà più mia, sarà tutta vostra; ad altro ella non servirà che a servire voi, mio Signore». [...]

Preghiera

Santo mio Patriarca, 

vi prego per quella pena che aveste in veder nato il Verbo divino in una stalla, così povero, senza fuoco e senza panni, ed in sentirlo piangere per il freddo che l’affliggeva: vi prego ad impetrarmi un vero dolore de’ peccati miei, coi quali sono stato causa delle lacrime di Gesù. E per quella consolazione che aveste poi, in vedere la prima volta Gesù bambino nato nel presepe, così bello e grazioso, onde il vostro cuore da quel punto cominciò ad ardere d’un amore più grande verso un amabile ed amante Bambino, ottenetemi la grazia di amarlo anch’io con grande amore in questa terra, per venire un giorno poi a goderlo in paradiso. [...] 

(S.Alfonso de’ Liguori, Opere ascetiche, X, Roma 1968).  

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