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Che senso ha venerare le immagini?

di Gabriele Cantaluppi

La Chiesa cattolica ricorre da sempre all’uso di immagini e statue sacre per alimentare nei fedeli la devozione. Il Concilio Vaticano II nel suo Messaggio agli artisti afferma: «Da lungo tempo la Chiesa ha fatto alleanza con voi. Voi avete edificato e decorato i suoi templi, celebrato i suoi dogmi, arricchito la sua liturgia. L’avete aiutata a tradurre il suo messaggio divino nel linguaggio delle forme e delle figure, a rendere comprensibile il mondo invisibile».

La venerazione delle immagini sacre ha dato vita nei secoli a molte forme di devozione popolare e contribuito in modo significativo alla diffusione del cattolicesimo nel mondo. Molte religioni, antiche e moderne, sono iconoclaste, cioè condannano il culto di immagini, come l’Islam e il Protestantesimo. Spesso la proibizione si rifà a prescrizioni della Bibbia, che in realtà non proibisce la creazione di immagini, ma il loro culto idolatrico, sostituire Dio con un idolo. 

Per il cristianesimo le immagini sono capaci di mettere in comunione spirituale con Dio e suscitare nell’anima la grazia, anche se il rischio di diventare degli idoli è reale. Fu solo il Concilio di Nicea II che nel 787 definì e consacrò l’utilizzo di immagini sacre, attribuendo il diritto di essere utilizzate sia nelle chiese, nell’ambito delle celebrazioni o come oggetto di venerazione da parte dei fedeli, nelle case private e nei luoghi pubblici.

La venerazione ai santi e a Maria raffigurati nelle immagini non è mai adorazione della rappresentazione materiale, ma venerazione a ciò che rappresentano. Purtroppo accade che la pietà popolare porti talvolta a forme di esaltazione erronee nella pratica del culto.

All’inizio si chiamavano «icone» e svolgevano una funzione molto vicina a quella del sacramento. Mettevano in rapporto con una presenza: il Cristo, la Vergine, il Santo.

Con l’avvento dell’Umanesimo le immagini perdono questa dimensione “sacramentale”: si trasformano in prodotti che, pur non perdendo il legame con la sfera spirituale, ne diventavano solo una rappresentazione, finestre su questo mondo, non sull’altro. Il loro potere comincia a dipendere dalla qualità tecnica: non sono più icone in senso stretto, sono anche vere opere d’arte.

Oggi le immagini hanno acquisito nuove dimensioni simboliche con la moda, lo spettacolo, la cosmetica e con gli inediti poteri tecnologici della civiltà multimediale. Nel Novecento si è andata affermando una nuova cultura artistica, con la quale il cristianesimo è entrato in polemica.

Fu Paolo VI a riallacciare i fili, riconoscendo: «Vi abbiamo imposto come canone primo la imitazione, a voi che siete creatori, sempre vivaci, zampillanti di mille idee e di mille novità… Vi abbiamo peggio trattati, siamo ricorsi ai surrogati, siamo andati all’oleografia, all’opera d’arte di pochi pregi e di poca spesa… l’arte e la bellezza e il culto di Dio sono stati male serviti».

Papa Francesco così invita gli artisti: «Voi siete chiamati, mediante i vostri talenti e attingendo alle fonti della spiritualità cristiana, a incoraggiare uno stile di vita profetico e contemplativo, capace di gioire profondamente senza essere ossessionato dal consumo, e a servire la creazione e la tutela di “oasi di bellezza” nelle nostre città troppo spesso cementificate e senz’anima».   

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