di Rosanna Virgili
Nazareth era un modesto agglomerato di case di contadini, commercianti e artigiani, che potremmo paragonare a quelli che si sviluppano, oggi, nella provincia italiana. Lì Gesù era cresciuto da un padre adulto, responsabile, saggio, che dava vita alla sua famiglia e ai suoi figli col suo lavoro, dentro la trama di affetti e legami familiari, politici, sociali, sensibile all’ascolto della Parola di Dio condiviso con gli amici galilei e, verosimilmente, messo in pratica con tutte le specie di poveri, con gli stranieri, gli incirconcisi, i giusti e i peccatori.
Nazareth è il paese dove Gesù si trova a crescere sin dalla primissima infanzia. Se come Figlio di Dio Egli viene da Betlemme, per la sua vocazione e ascendenza messianica dal paese di David, come figlio dell’uomo Gesù viene dalla Galilea, dalla città di Maria e di Giuseppe. Il ricordo che Gesù doveva avere, da adulto, delle sue origini, era quello di un villaggio di cui così poco si conosce se non che fosse il “paese dell’anima” del Signore. Tutti noi serbiamo nell’intimo, infatti, il profumo dell’aria, i colori della casa e della piazza, la dolcezza dei volti e il timbro della voce della gente che per prima abbiamo conosciuto. Lo sguardo, la risata, l’abbraccio di nostro padre. I suoi ritorni a casa, ansiosamente attesi, sempre troppo tardi per noi bambini che volavamo tra le sue braccia non appena apriva la porta e ancora non si era levato il cappotto. Ma com’era il padre di Gesù quando rientrava dalla sua famiglia, la sera? Che odore aveva il cielo di Nazaret umettato sulle guance di Giuseppe quando baciava il figlio, prima che andasse a dormire?
Il Nazareno
Tenendo conto di ciò che dicono i racconti evangelici sul carattere dei Nazaretani siamo costretti a farci un’idea non troppo positiva degli stessi. «Da Nazareth può forse venire qualcosa di buono?» replica Natanaele a Filippo che lo invita a seguire Gesù, sicuro nel dire che: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret». Un giudizio che lo stesso Gesù doveva condividere, visto il pensiero che, poi, Egli esprime su Natanaele: «Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità» (Gv 1, 46-47). Del resto anche l’evangelista Luca non è tenero verso gli abitanti di Nazareth i quali, trovando Gesù nella loro sinagoga, si «riempirono di sdegno» ascoltando le sue parole, al punto che: «si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio» (4, 28-29). Gesù, insomma, dovette scappare dal «natìo borgo selvaggio» per dirla con Leopardi che così presentava la sua Recanati, dove non si sentiva né compreso né amato. Anche Gesù disse di Nazareth: «nessun profeta è bene accetto nella sua patria» (Lc 4,24) ricordando ai suoi compaesani che neppure Elia fu “medico” nella sua terra originaria ma fu inviato, al contrario, «a una vedova a Sarepta di Sidone» e che Eliseo non guarì nessuno dei tanti lebbrosi che, al suo tempo, v’erano in Israele, ma solo Naaman di Siria (cf Lc 4,26-27). Eppure mai al «figlio dell’uomo» fu tolto il nome di Nazareno (cf Lc 18,37; 24,19; Mc 1,24; 14,67; ecc.), figlio, cioè, di quel Giuseppe che nella minuscola cittadina di Nazareth tutti sapevano bene chi fosse. E, addirittura, il termine “nazireo” si è conservato nel mondo semitico per designare i discepoli di Gesù (cf At 24,5) mentre il nome di cristiani apparve ad Antiochia e finì per prevalere, più tardi, nel mondo greco-romano (cf At 11,26).
Figlio di un uomo buono
Il padre di Gesù non era, dunque, nobile, né ricco, non veniva da una grande città, ma da un borgo che non sarebbe apparso neppure sulle guide turistiche se, a quel tempo, fossero già esistite. Un paese che non apparteneva a un tessuto urbano palatino – come poteva essere Gerusalemme o Samaria o Sichem – cresciuto, cioè, attorno al Palazzo di un monarca o di una famiglia patrizia o di un padrone governatore. Nazareth era un modesto agglomerato di case di contadini, commercianti e artigiani, che potremmo paragonare a quelli che si sviluppano, oggi, nella provincia italiana o nelle aree della buona periferia delle nostre città. Lì Gesù era cresciuto da un padre adulto, responsabile, saggio, che dava vita alla sua famiglia e ai suoi figli col suo lavoro, dentro la trama di affetti e legami familiari, politici, sociali, sensibile all’ascolto della Parola di Dio condiviso con gli amici galilei e, verosimilmente, messo in pratica con tutte le specie di poveri, con gli stranieri, gli incirconcisi, i giusti e i peccatori. La casa di Nazareth era, senz’altro, aperta a tutti gli ospiti e un piatto di zuppa d’orzo doveva sempre restare sulla tavola per chi, affamato, dovesse passare di là. Insieme a un bicchiere di vino rosso, per ristorare il cuore!