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di Alejandro Dieguez

Don Aurelio Bacciarini ad Arzo 

Un parroco «tutto nervi e tutto cuore». Così ricordavano don Aurelio quanti avevano avuto occasione di conoscerlo nella parrocchia dei Santi Nazzaro e Celso in Arzo, villaggio di mezza montagna di circa 800 anime, vicino al borgo di Mendrisio ed al confine italo svizzero di Como-Chiasso.

Vi era giunto il venerdì 5 novembre 1897, a tarda sera, senza alcun ricevimento da parte della popolazione, vivamente risentita per il trasferimento del parroco precedente. La parrocchia di Arzo era di patronato popolare e in quel trasferimento i parrocchiani vedevano leso il loro diritto di elezione.

Entrato nella canonica, don Aurelio aveva trovato la casa ancora completamente spoglia ma il camino acceso: unico segno di accoglienza e tratto festoso della giornata.

La freddezza tuttavia doveva durare ben poco. La domenica successiva, la prima predica del nuovo parroco fu una rivelazione. Al sentirlo tutti lasciarono cadere le proprie resistenze ed ostilità e, dopo tre mesi, l’assemblea parrocchiale ad unanimità lo eleggeva a proprio parroco.

In poco tempo don Aurelio portò a compimento la trasformazione di quel piccolo villaggio.

La sua vita privata era poverissima. Se aveva qualche cosa dava tutto ai poveri. Il classico episodio della pentola del pranzo trovata vuota del contenuto perché dato di nascosto ai bisognosi, richiamato a testimonianza della generosa carità di tanti santi, vede anche don Aurelio protagonista… a scapito della anziana domestica che non sapeva poi capacitarsi dell’accaduto.

Ma oltre che per i vivi, il futuro parroco di S. Giuseppe al Trionfale, diede anche luminosi esempi di carità per gli agonizzanti lasciando edificati i parrocchiani, come quando ritardò la Messa domenicale per restare al capezzale di un moribondo e sostenere con la forza dei sacramenti la sua ultima salita verso la Vetta eterna.

Nella sua vita parrocchiale era attivissimo. Si prodigava – affermano i testimoni – «con una tensione ed una attenzione indubbiamente superiore alle sue forze fisiche» ed è per questo che fu chiamato «parroco tutto nervi e tutto cuore».

Provvide alla costruzione di oratori, sale, abitazioni e letti per togliere i bambini dalle piazze, dalla promiscuità e dall’ignoranza, soprattutto religiosa. Come avverrà a S. Giuseppe al Trionfale, fondò associazioni cattoliche per ogni ceto di persone, per formare cristiani convinti, per educarli a vincere il rispetto umano e suscitare degli apostoli anche tra i laici. Favorì e diffuse la stampa cattolica per controbattere quella cattiva e impedirne i tristi effetti.

Per evitare che la gioventù fosse costretta a lasciare il paese in cerca di lavoro, con l’appoggio di don Luigi Guanella, suo futuro superiore religioso, tentò la creazione ad Arzo di un laboratorio femminile.

Ma la sua attività e la sua fama si estese oltre i confini della parrocchia. Divenne infatti come il padre spirituale di tutto il laicato cattolico impegnato del Mendrisiotto. Veniva chiamato per le feste o le adunanze di una certa importanza perché aveva il dono di trascinare con la sua parola le folle, anche di giovani ed operai. In occasione delle feste regionali dell’azione cattolica ticinese spesso fece sentire i suoi discorsi vibranti, suscitando talvolta il malessere da parte della stampa anticlericale.

Dopo sei anni di instancabile apostolato, don Aurelio dovette lasciare Arzo nel 1903, quando il suo vescovo lo nominò direttore spirituale del seminario ginnasiale di Pollegio. Il 25 settembre di quell’anno, celebrando per il suo popolo l’ultima messa in parrocchia, rivolse ai fedeli presenti il suo saluto, accompagnato dalle lacrime sue e dei fedeli stessi. Con una pubblica sottoscrizione gli fu offerto il ricordo di un Crocifisso. Alcuni suoi amici volevano offrirgli, alcuni giorni prima, un pranzo di addio; egli li condusse a Capolago e pagò lui.

Al momento di partire, un parrocchiano si offrì per accompagnarlo alla stazione di Mendrisio e gli disse: «Signor Curato, se ha bisogno di qualche cosa, parli». Don Aurelio rispose: «Ecco la provvidenza, non ho un centesimo per il viaggio!».

Povero era arrivato, povero se ne andava.

 

 

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