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di Michele Gatta

Non sempre le cose che non capiamo con la mente devono per forza essere le più complicate, anzi, talvolta la loro semplicità è così a portata di mano che vogliamo invece interstardirci a dare una spiegazione con concetti e teorie che finiscono poi per farci smarrire e complicare notevolmente le cose. è quello che succede alla cultura odierna nella affannosa ricerca dell’idea di eternità, che vorrebbe risolvere in fantasmagorici e fumosi paesaggi extrasensoriali e solo mentali.

Su questo, la predicazione della Chiesa è stata sempre semplice: «Attendiamo cieli nuovi e terre nuove». è quanto suscita la lettura del primo capitolo del fortunato libro di papa Benedetto XVI Ultime conversazioni.

«Anche un Papa emerito ha paura della morte? O almeno di morire?»: è la domanda che si è sentita fare papa Benedetto XVI dall’amico giornalista Peter Seewald. In questo primo capitolo del libro, il giornalista chiede al Papa emerito della sua vita monastica “nel recinto di Pietro”, e quindi delle attività quotidiane. Dopo aver toccato il tema dello scrivere e del predicare, e dopo un accenno alla stesura del testamento definitivo, è giunto alla domanda fondamentale. La risposta è ampia e si dispiega in varie riflessioni: «Per certi versi sì. In primo luogo c’è il timore di esser di peso agli altri a causa di una lunga invalidità. Lo troverei molto triste. Anche mio padre l’ha sempre temuto, ma a lui è stato risparmiato. Poi, pur con tutta la fiducia che ho nel fatto che il buon Dio non può abbandonarmi, più si avvicina il momento di vedere il suo volto, tanto più forte è la percezione di quante cose sbagliate si sono compiute. Perciò uno si sente oppresso dal peso della colpa, sebbene naturalmente la fiducia di fondo non venga mai meno».

Come si vede non ci sono scoop o sassolini che il Papa vuole togliersi dalle scarpe, mentre appare sincera e commovente la sua “confessione”:

«Beh, [mi opprime il fatto] di non aver fatto abbastanza per gli altri, di non averli trattati bene. Ci sono talmente tanti dettagli – non cose grosse, grazie a Dio, ma appunto tante minuzie –, cose che uno avrebbe potuto e dovuto fare meglio. Casi in cui non si è resa giustizia a qualcuno, a qualcosa».

A Seewald che ancora lo incalzava chiedendogli che cosa Benedetto XVI dirà all’Onnipotente quando si troverà faccia a faccia con lui, il Papa emerito risponde: «Lo pregherò di essere indulgente con la mia miseria».

La domanda «come ti immagini l’aldilà?» andrebbe fatta a chiunque, in una conversazione – visto che il traguardo della morte è tra i pochissimi a cui siamo destinati veramente tutti –: quanto più farla a uno tra i massimi teologi del XX e del XXI secolo, che ha dedicato l’intera esistenza a contemplare e indagare il Mistero di Dio. E a questo punto, la saggezza maturata nel sacrificio e nella preghiera si fa portatrice di un messaggio di pace e di eternità:

«Ci sono vari livelli – ha risposto Benedetto XVI –. Prima quello più teologico. Qui sono di grande consolazione e fanno molto riflettere le parole di sant’Agostino. Nel commentare il Salmo “Ricercate sempre il suo volto” [Sal 104] dice: “Questo ‘sempre’ vale per l’eternità”. Dio è tanto grande che noi non finiamo mai di conoscerlo. È sempre nuovo. Il nostro è un moto continuo e infinito, una scoperta e una gioia sempre nuove. Queste sono riflessioni teologiche. Contemporaneamente c’è il lato, del tutto umano, per cui sono contento di rivedere i miei genitori, i miei fratelli, i miei amici insieme e di immaginare che sarà bello come un tempo a casa nostra».

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