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di Andrea Fagioli

Tra i vari san Giuseppe apparsi sullo schermo, ce n’è uno che rischia addirittura la vita in un incendio. È quello immaginato dal regista Franco Rossi, con gli sceneggiatori Vittorio Bonicelli e Francesco Scardamaglia, nel film per la tv del 1987 Un Bambino di nome Gesù, ispirato in gran parte ai Vangeli apocrifi e trasmesso da Canale 5.

Sette anni dopo la fuga in Egitto, quando con Maria e il piccolo figlio sta per tornare in Palestina, Giuseppe resta gravemente ustionato nel tentativo di domare le fiamme dolose che avvolgono il cantiere dove aveva trovato lavoro. Nel frattempo Maria e Gesù sono costretti a fuggire perché inseguiti da un sicario di Erode. Solo alla fine ci sarà l’agognato ricongiungimento e l’arrivo a Nazareth nella notte più lunga dell’anno, quella in cui i pastori accendono tanti fuochi che sparsi nel buio sembrano come le stelle. «Guardate – dice il piccolo Gesù al padre e alla madre quando arrivano in vista del villaggio: un cielo sopra e un cielo sotto». «Sembra proprio che il cielo sia sceso sulla terra», commenta Giuseppe chiudendo con questa battuta un film in cui è rappresentato nei panni del semplice padre di famiglia, che si prende cura dell’amata sposa e del figlio di sette anni con il quale è spesso in combutta nonostante che la madre richiami il marito ai suoi doveri di autorità paterna. Ma la cosa più curiosa è che a interpretare Gesù da adulto, che ogni tanto compare come una sorta di prefigurazione, è un giovane Alessandro Gassmann, che una ventina di anni dopo, nel 2006, interpreterà proprio san Giuseppe in un altro film per la tv, sempre su Canale 5, La Sacra Famiglia, con la regia di Raffaele Mertes e la sceneggiatura di Massimo De Rita, Maria Grazia Saccà e Luigi Spagnol. In quel caso Giuseppe è un vedovo che sposa Maria dopo un precedente matrimonio dal quale sono nati ben sei figli, quattro maschi e due femmine. Ancora una volta sono gli apocrifi la fonte di ispirazione. Insomma, l’ennesima conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che la figura del padre putativo di Gesù è stata raccontata dal cinema e dalla tv con estrema libertà, con ipotesi più o meno credibili, ma sempre suggestionate dal fascino di quest’uomo del quale, come ricordato più volte, si sa molto poco. Ci sono addirittura dei film in cui non compare nemmeno, se ne percepisce soltanto la presenza misteriosa.

Ma al termine di questa nostra carrellata in tre puntate sulla figura di Giuseppe nel cinema e in tv, sicuramente incompleta, merita segnalare un film, che forse in molti non ricordano, che propone un’immagine interessante e originale della Sacra Famiglia. Si tratta di Cammina cammina di Ermanno Olmi, pellicola del 1983 girata nei dintorni di Volterra con attori non professionisti. Quell’immagine di Giuseppe, Maria e il Bambino, a giudizio del gesuita Virgilio Fantuzzi (Cinema sacro e profano, Edizioni «La civiltà cattolica»), sono la «più bella e convincente rappresentazione del presepio tra tutte quelle (e non sono poche) che il cinema ci ha dato finora». È difficile, a giudizio di Fantuzzi, «descrivere a parole il tono assorto col quale nella pellicola è rappresentato il mistero umano della nascita del Figlio di Dio. Il trasalimento di Giuseppe. Le parole con le quali cerca di tranquillizzare la sua sposa: “Non aver timore! Vogliono solo vedere il bambino”». È un Giuseppe, quello di Olmi, «umile e fiero», a detta di un altro gesuita studioso di cinema, padre Nazareno Taddei. Un Giuseppe «ancestrale», con un forte senso della riconoscenza tanto da contraccambiare con tre pani i doni dei Magi.

Alla fine questa immagine di uomo semplice e povero, ma ricco di fede in Dio e di amore per la famiglia, è quella che più si addice a un santo così amato.

 

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