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Il lavoro dell’educatore risulta spesso acrobatico e pericoloso, ma la sua presenza è quanto mai necessaria

di Eraldo Affinati

Scegliere questo invece di quello: è sempre difficile capire quale strada prendere, ma soprattutto da giovani a volte sembra quasi impraticabile. Imboccare una via piuttosto che un’altra significa rinunciare a una possibilità, mettersela alle spalle: lo può fare soltanto chi possiede una scala di valori capace di indirizzarlo verso la soluzione giusta.

Ma cosa accade nel momento in cui gli orizzonti si moltiplicano e ognuno di essi sembra promettere assai più di quanto sia in grado di mantenere? è vero: si può sempre tornare indietro, sotto il vecchio crocicchio carico di plurime indicazioni, tuttavia il rischio di non essere mai soddisfatti è concreto. Al punto che molti adulti restano al palo, ipnotizzati dalle luci intermittenti delle occasioni mancate, senza riuscire a fare nemmeno un passo. Ci s’illude di poter mantenere aperto il magico ventaglio delle opportunità disponibili: dobbiamo ammettere che la società consumistica possiede una grande forza di richiamo intergenerazionale, favorendo, oggi come non mai, la promiscuità anagrafica. Eppure tale indistinzione dei ruoli, se da una parte sembra accrescere la libertà, in verità la mortifica, producendo genitori quali doppie copie dei loro figli e adolescenti sempre più insicuri, fragili e soli. Arriva il momento del rendiconto: l’adulto prima o poi si staccherà dal viso la maschera di perenne giovinezza che spesso lo immobilizza, insomma dovrà prendere posizione; soltanto così i ragazzi potranno seguirlo vedendo incarnata in lui o in lei un modello credibile.

Questo meccanismo sembra teorico ma in realtà si ripropone con frequenza costante nel rapporto educativo. I docenti più sensibili percepiscono subito, nell’allievo che hanno di fronte, lo squilibrio familiare da cui proviene: se suo padre e sua madre non hanno fatto bene i conti con se stessi, lo scolaro ne risentirà in modo diretto o nascosto, ma non avrà gli strumenti per esprimerlo. L’inquietudine che contraddistingue il cosiddetto alunno difficile è sempre il risultato di un groviglio che lo precede: non si tratta necessariamente di disagi sociali legati ad ambienti degradati nei quali è cresciuto. Anzi, spesso e volentieri, come ben sappiamo, è proprio nelle famiglie in apparenza irreprensibili che può annidarsi il frutto marcio dell’ipocrisia, della violenza, della paura e della tracotanza come reazione isterica alla propria debolezza. Il lavoro dell’educatore risulta spesso acrobatico e pericoloso perché egli, pur sapendo dove alberga l’origine della tensione presente nel giovane di cui deve prendersi cura, è altrettanto consapevole che intervenire sul genitore può essere inefficace se non dannoso, primo perché il ragazzo vorrebbe preservare la madre e il padre da qualsiasi intrusione esterna, sapendo che ciò vanificherebbe la sua conquista di autonomia; secondo perché questi adulti, con tutta la loro volontà e buona fede, non farebbero altro che replicare gli errori già commessi.

Ciò non significa che la famiglia non debba essere chiamata all’appello dell’azione pedagogica: la sua presenza è quanto mai necessaria in un momento di crisi etica come quello che tutti stiamo vivendo. Tuttavia sarebbe illusorio pensare di affidare al nucleo domestico la soluzione del problema nato al suo interno. Esiste una solitudine del maestro che non può essere evitata: è il momento fatidico del faccia a faccia fra l’adulto consapevole, che ha compiuto la propria scelta e implicitamente la espone mettendola a rischio, e il giovane che deve ancora farla, alla spasmodica ricerca di futuro, bisognoso di un confronto dialettico anche forte, di un modello di riferimento, di un ostacolo da superare, persino di un nemico da sconfiggere. Non sarà mai quello, diciamo con franchezza, un territorio clemente e rassicurante: al contrario, potrà rivelarsi pieno di insidie, con il timore incombente del tradimento di una fedeltà sancita dal patto educativo. Ma, se andrà bene, potrà rivelarsi, questo sì, il luogo della verità.

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