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di Giovanni Cucci

Continuando con la lettura del Diario di un dolore, nel terzo quaderno sulla fiducia, Lewis in questo sofferto percorso riconosce così un fondamento, base di ogni suo dire, anche della protesta e del dolore. Un fondamento, tuttavia, che non è a misura d’uomo. Come il sorriso della Gioconda analizzato da P. Ricœur, il fondamento è presenza simbolica dell’assente: il sorriso della Monna Lisa è così intenso e significativo perché ricorda la madre del pittore, assente e insieme presente in quel particolare sorriso, nella sua espressione e nei suoi colori, che ci parlano in qualche modo di lei, se non altro nella nostalgia che evoca.

Analogamente per Lewis la presenza del fondamento, come quella dell’amata, si rivela nell’assenza, tanto più reale quanto più sembrava dissolta. È un’assenza fonte di dolore, ma anche di purificazione: in particolare purifica lo scrittore da una relazione con Dio superficiale, fredda, soprattutto insensibile nei confronti delle sofferenze altrui. La fede come compiacimento di sé, rinchiuso nella propria beata torre d’avorio, deve andare in frantumi, perché irreale: «La fede che “aveva messo in conto queste cose” non era fede ma fantasia. Metterle in conto non era vera partecipazione umana. Se mi fosse veramente importato, come credevo, dei dolori del mondo, non sarei stato travolto dal mio».

Lewis coglie un altro aspetto paradossale di questo confronto. Una maggiore solidarietà con il dolore altrui lo avrebbe reso più capace di affrontare il proprio dolore, quando esso è venuto a bussare alla porta del suo cuore. 

Prenderne le distanze è certamente una forma di difesa di fronte al male; tale atteggiamento tuttavia, come la rimozione del lutto, porta in realtà a una sofferenza maggiore, più nascosta. Farsi vicino a chi soffre consente di accogliere una saggezza che getta una luce impensabile sulla realtà della vita e della morte. Lewis comincia ad avvertire la nostalgia e il desiderio di questa saggezza sconosciuta, e ora a lui accessibile nel doloroso confronto con la morte della moglie. E ciò ravviva il valore del suo legame con lei.

Molti matrimoni entrano profondamente in crisi a motivo della mancata elaborazione delle emozioni legate alla perdita e all’incapacità di trovare una maniera di comunicare, a se stessi o al coniuge e ai figli, il proprio vissuto, nel rispetto della diversità. Se ad esempio il marito è introverso e la moglie estroversa, essi vivranno ed esprimeranno il dolore in maniere differenti: l’uno non parlandone mai e l’altra parlandone sempre. Tale differenza, tutt’altro che anomala, se non trova un punto di confronto e comprensione, finisce per allontanare sempre più: il marito sarà infastidito dagli sfoghi senza fine della moglie e la moglie avvertirà irritazione di fronte al silenzio del marito. Il lento lavoro di ritorno alla vita dal punto di vista terapeutico fa leva su un cambiamento dello sguardo, proprio dell’empatia, spostandolo da se stessi e dal proprio dolore, per farsi vicini al vissuto altrui. La mancanza di empatia è ad esempio alla base della grave situazione di disagio che lo psichiatra I. Yalom ritrova in Penny, lasciata dal marito e distrutta a motivo della morte della figlia Chrissie, una figlia adorata e portata a esempio: il dolore di quella perdita la porta a trascurare non solo se stessa ma anche gli altri due figli (che ritiene falliti e problematici), che si trovano privati, oltre che della sorella anche della propria madre, sempre pronta a ricordare loro quanto sono diversi da «sua figlia». Non è certamente facile spostare il baricentro affettivo e cognitivo, incentrato sulla propria perdita, ma rimane l’unica strada possibile per uscire dalla prigione della melanconia, consentendo di entrare in un altro mondo, di vivere in maniera differente la propria situazione e la relazione con coloro che sono ancora in vita.

Non è vero che la perdita di una persona cara porta a una maggiore vicinanza tra i familiari. Questo è purtroppo un equivoco frequente in tale frangente: ciò può accadere, ma può anche allontanare irrimediabilmente. Il rapporto con i propri morti suppone la capacità di sapersi relazionare con i propri vivi. Senza empatia, senza la comprensione e accettazione che il dolore possa essere espresso in una modalità differente dalla propria, si può assommare perdita a perdita, accentuando la solitudine e la morte della relazione con le persone circostanti. La solidarietà con il dolore altrui aiuta a vivere in maniera differente il proprio. È un altro aspetto dei paradossi rivelati da questo tema.

Nel momento in cui comincia a porre attenzione alla sofferenza di chi ha accanto, senza più ripiegarsi unicamente sul proprio soffrire, Lewis si accorge di poter portare a termine il lavoro del lutto. Egli sta ritornando a vivere: ha finalmente lasciato andare l’amata Helen. 

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