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«Il regno dei cieli si può paragonare al lievito... (Mt 13, 33)

di Franco Cardini

Il lievito, la farina, il pane.  Immagini pacifiche di una lontana civiltà contadina.  E immagini sacrali, simboli che di continuo precorrono il Mistero. Il Vangelo si presenta sempre così: e, in quella donna che impasta il pane, noi vediamo in controluce già un accenno all'eucaristia.    Ma il lievito - assente dalle specie visibili del sacramento eucaristico  nella tradizione occidentale; presente invece in quelle delle Chiese orientali - è ancora una volta il regno dei cieli,  inteso non tanto come realtà escatologica quanto piuttosto come presenza reale, sostanza della fede di chiunque crede e vuol vivere il messaggio cristiano. In questo senso - senza immanentismi o millenarismi di sorta - possiamo dire che il regno dei cieli è già qui, fra noi e con noi.

La parabola, quindi, non imposta tanto una similitudine quanto, piuttosto, dà una dura e rigorosa indicazione, una esigente consegna. L'apparente constatazione che il regno dei cieli è come il lievito, si traduce in una norma: i cristiani siano come il lievito. Ed essere lievito vuol dire venir impastato insieme con la farina e con l'acqua; vuol dire forse, cioè, entrare in contatto con realtà e cose che il cristiano sente estranee a sé e al suo mondo, alle sue convizdni e alle sue aspirazioni. Può voler dire, perfino, accettare che il prodotto finito - il pane che esce dal forno - sia tale che il sapore del lievito non vi si riconosca.

Ma, quella, sarà apparenza: dal momento che in realtà tutti sanno che, senza lievito,  pane soffice e fragrante sarebbe soltanto la dura galletta abbrustolita, il pane dell'esilio del rito ebraico.

Credo che poche parabole come questa della donna e del lievito siano adatte a una meditazione sul ruolo sociale dei cristiani nel mondo «laico» e desacralizzato del nostro Occidente. Le società d'un tempo - che forse non erano per nulla migliori, più giuste e più buone di quella presente - avevano però dalla loro, diciamo così, il «profumo» del cristianesimo. Nulla vi si faceva, anche sotto il profilo sociale, civile e politico, che non fosse rigorosamente consacrato e benedetto. Lo erano anche le leggi, il potere, le insegne di governo, le bandiere, gli strumenti dei vari mestieri; lo erano tutti gli aspetti della vita quotidiana.

Lasciamo ad altri e ad altra sede il giudicare se tutto ciò contribuisse, e fino a che punto, a fare dei nostri padri dei cristiani migliori di quanto noi non siamo. Certo è che, allora, dirsi cristiani poteva in apparenza esser più facile: nella sostanza, non era meno difficile di quanto non sia ai giorni nostri. Ma quel lievito di cui parla il Vangelo, allora, lo si trovava dappertutto: nelle istituzioni, nelle immagini quotidiane, nel modo diffuso di pensare della gente.

Oggi tutto è diverso. La farina dell'abbondanza dei beni acquisiti con apparente facilità (parliamo, beninteso, dell'Occidente) e l'acqua dell'indifferentismo e dell'edonismo sembrano essere diventati la stoffa costitutiva della società. è in questo contesto che i cristiani sono chiamati a far da lievito. E i granelli di lievito sono pochi, debbono esser pochi, in rapporto alla massa della farina intrisa d'acqua che costituisce la pasta da pane. Il lievito deve essere una presenza discreta, tale da non alterare il sapore del composto e tale addirittura da non farlo lievitare eccessivamente.

Quale migliore immagine della costante presenza e della non meno costante moderazione alla luce delle quali i cristiani sono chiamati a far sentire la loro presenza nella società odierna? Il loro esser lievito - lontano da ogni tentazione integralista - sarà il loro riuscire non già a soggiogare la società laica, bensì a orientarla, a vivificarla, ad innalzarla quindi verso una prospettiva di vita qualitativamente più alta di quella dei laici e dei non-credenti. Nel prodotto di questa continua opera, il lievito scomparirà; parrà addirittura non esserci mai stato. Ma il prodotto sarà un pane cui soltanto la presenza cristiana ha consentito di lievitare. 

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