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Nel mese di marzo

Soffusa di luce che si rifrange sulle pieghe dei panneggi, e crea un gioco di ombre lievi, la raffigurazione del Cantarini è vibrante di colore, e concentra la molteplicità dei gesti, resi con sapiente immediatezza. San Giuseppe è intento a dare il nutrimento al figlio: è appoggiato alla palma fruttifera, e si china a porgere i datteri nella mano del bambino proteso verso di lui, con delicatissimo gesto. Maria lo sostiene, disteso su un velo di un biancore assoluto, ben differente dal biancore del cuscino e della veste, venata di rosaceo: è un richiamo al velo sindonico che avvolse il corpo del Signore deposto dalla croce. I volti mesti di Maria e Giuseppe rimandano alla stessa lettura simbolica: la palma prodigiosa è figura del paradiso, e del disegno di morte che segnerà il riscatto del genere umano.

In basso, la tela presenta un dettaglio ricorrente nelle raffigurazioni della Fuga in Egitto: i frammenti di una statua pagana, a indicare il superamento dell’idolatria con l’avvento della Redenzione, e riferimento alla profezia di Isaia: «Sarà piegato l’orgoglio degli uomini, sarà abbassata l’alterigia umana; sarà esaltato il Signore, lui solo in quel giorno, e gli idoli scompariranno del tutto» (Is 2, 17).

Il pittore eseguì l’opera intorno al 1640: si evidenziano aspetti innovativi, nella composizione in verticale improntata a un grande dinamismo, e nello stile capace di fondere il classicismo e aspetti di naturalismo per  gli effetti di luce. 

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