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Profeta di un laicato impegnato nella città degli uomini

di Gabriele Cantaluppi

Aveva undici anni Giuseppe quando, ritornato a Milano da Alassio, dove la famiglia si era temporaneamente trasferita, si iscrisse al liceo classico Cesare Beccaria. Era uno studente brillante, specialmente in latino e greco. Conobbe l’associazione studentesca Santo Stanislao, diretta dal monsignor Luigi Testa. Uno degli appuntamenti fondamentali per l’associazione era l’annuale corso di Esercizi spirituali.

Giuseppe vi partecipò per la prima volta a tredici anni e vi restò fedele anche oltre gli anni della giovinezza. Durante quelli che seguirono il suo diploma di maturità classica e l’iscrizione all’Università Cattolica del Sacro Cuore nella facoltà di Lettere e Filosofia, ripensò alla figura di Pier Giorgio Frassati, morto di poliomielite appena tre anni prima, oggi beato. Sul suo esempio, assunse un preciso programma di vita: «Voglio ritornare colla volontà decisa al compimento assiduo del proprio dovere giornaliero». Tre anni dopo, durante gli Esercizi del maggio 1931, scelse di rimanere celibe e di aderire ai Missionari della Regalità, istituto fondato da padre Agostino Gemelli. Ne dà la motivazione: «Sento in ogni momento la grandezza e la sublimità di questa grazia di Dio giacché, grazie alla castità, potrò unirmi più a lui, cui consacro anima e corpo ed esercitare apostolato più largo ed efficace. Debbo però ricordare che su tale via si deve camminare nella preghiera continua e nel sacrificio. M’assista la grazia di Dio e la Mamma celeste».

Sempre nel 1931 si laureò e prestò servizio militare nella Scuola Allievi ufficiali degli Alpini. Divenendo in seguito presidente diocesano dell’Azione Cattolica, indicava ai giovani che per farsi santi, ossia per assumere con responsabilità quello che la vita comporta, basta seguire quanto la Chiesa da sempre indica: la frequenza ai sacramenti, la preghiera, la pratica delle virtù e l’affidamento a una guida spirituale esperta.

Giuseppe Lazzati ha aperto la strada, innanzitutto, alla possibilità di un laicato italiano più consapevole e maturo della propria vocazione e missione. Ha sempre ribadito con forza che la missione dei cristiani laici è quella profetica, cioè la «nota di unità tra ordine soprannaturale e ordine naturale». Anticipando e sostenendo il Vaticano II, scriveva che «le realtà temporali sono quelle che costituiscono il tessuto quotidiano della vita dei laici (vita di famiglia, lavoro, rapporti sociali, economia, politica, cultura, divertimenti, ecc.) che perciò si fanno "luogo teologico" della loro santificazione».

Si battè sempre per l'"unità dei distinti", per la distinzione tra la sfera spirituale e quella politica. Sin dagli anni dell'impegno in Costituente, Lazzati distingueva, in un famoso articolo su "Cronache sociali", l'azione cattolica da quella politica. Da quella prima enunciazione, poi perfezionata con il tempo, maturerà la "scelta religiosa" dell'Azione Cattolica.

Nel 1938 si dimise dai Missionari della Regalità di Cristo, motivando di non ritenere fruttuosa una consacrazione laicale limitata solo ad alcune opere specifiche. Consigliatosi con l’arcivescovo di Milano, il beato cardinal Alfredo Ildefonso Schuster, trasse forza per costituire i Milites Christi Regis. Grazie alla Costituzione apostolica «Provida Mater Ecclesia» di Pio XII, il documento di nascita degli Istituti Secolari, l’associazione ricevette una configurazione più precisa, ottenendo l’erezione diocesana ufficiale il 1 maggio 1952, e nel 1963 quella pontificia, col nome di “Istituto Secolare Cristo Re”.

Rientrato a Milano dopo l’esperienza dei campi di concentramento il 31 agosto 1945, compì una nuova scelta decidendo di entrare in politica, nelle file della Democrazia Cristiana, incoraggiato anche dall’amico Giuseppe Dossetti e accettando solo dopo essersi nuovamente consigliato col cardinal Schuster. Dal 1946 fu quindi consigliere nel Comune di Milano, mentre due anni dopo venne eletto in Parlamento. Dal 1953, con la fine della legislatura, Lazzati smise di essere, secondo le sue stesse parole, un “politico suo malgrado”.

Grande impegno ebbe per l'opera educativa, condotta negli ultimi anni di vita, nei confronti del "pensare politicamente" dei giovani. Fu uno dei primi nel movimento cattolico ad accorgersi del cambiamento politico che il nostro Paese viveva alla fine degli anni '70 e pensò che la risposta più adeguata al crollo delle ideologie fossero luoghi di ascolto e dialogo per e tra i giovani. In questo impegno Lazzati voleva dare nuovo corso alla costruzione di una "democrazia sostanziale" che non si limitasse alla dimensione partitico-elettorale, di cui egli denunciava le degenerazioni, ma che coinvolgesse le migliori energie del Paese come nel Secondo dopoguerra.

Nel 1958 vinse il concorso per la cattedra di Letteratura cristiana antica all’Università di Bari e successivamente venne chiamato a svolgere lo stesso insegnamento alla Cattolica. Preside della facoltà di Lettere dal 1965, tre anni dopo divenne Rettore, rimanendo in carica per cinque trienni. Mantenne anche la sua appartenenza alla Chiesa ambrosiana, svolgendo al suo interno numerosi servizi, non ultimo quello di direttore del quotidiano “L’Italia” e quello di Presidente diocesano di Azione Cattolica. Anche la Santa Sede richiese la sua consulenza, in particolare riguardo all’organizzazione degli Istituti Secolari e dei primi congressi per affrontarne aspetti e problemi. Ogni suo impegno, civile ed ecclesiale, aveva un solo scopo: formare laici realmente maturi, che sapessero costruire una “città dell’uomo a misura d’uomo”, come era solito ripetere. In tal senso s’inquadra anche una missione che è durata per l’intera sua vita: l’incontro con i giovani di tutta Italia, anche tramite gli appuntamenti fissi all’Eremo di San Salvatore sopra Erba, in provincia di Como.

Nel 1983 Lazzati non era più rettore e si dedicava alla risistemazione organica del proprio pensiero sul laicato cristiano. Tuttavia, già dai primi mesi del 1984 gli venne diagnosticato un tumore all’intestino. Prima di cedere e di prepararsi all’incontro definitivo con Dio, riuscì a dar vita alla sua ultima creazione: l’associazione “Città dell’uomo”, a servizio dei laici e del loro connaturale compito politico.

Ricoverato nel mese di maggio alla clinica Capitanio, nel centro di Milano, uno dei suoi amici sacerdoti, don Giuseppe Grampa, celebrò per lui la Messa nella sua camera, impartendogli l’Unzione degli Infermi: al momento prescritto dal rito, fu lo stesso malato a porgergli le mani, quasi in un’ultima consegna. A un altro sacerdote, poco prima di spegnersi, baciò le mani, dichiarando che in esse baciava la Chiesa. Era una concretizzazione di quanto aveva scritto nel suo testamento spirituale: «Amate la Chiesa, mistero di salvezza del mondo... Amatela come vostra Madre, con un amore che è fatto di rispetto e di dedizione, di tenerezza e di operosità. Non vi accada mai di sentirla estranea e di sentirvi a lei estranei; per lei vi sia dolce lavorare e, se necessario, soffrire. Che se in essa doveste a motivo di essa soffrire, ricordatevi che vi è Madre; sappiate per essa piangere e tacere».

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