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di Vito Vigano

È un piacere ascoltare o leggere racconti, favole, romanzi. I bambini ne sono golosi e gli adulti non lo sono da meno. Le storie piacciono perché vi si esercitano funzioni mentali gratificanti. Nella forma breve di una favola o in quella elaborata di un romanzo, si tratta sempre di una vicenda che si svolge e ha un esito. La curiosità è stuzzicata da quel che accade e da come andrà a finire. La fantasia è indotta dalle parole del racconto a farne una riproduzione mentale. Si inscena nella mente una specie di teatro che permette, a chi legge o ascolta, di immedesimarsi nella vicenda da protagonista coinvolto, provando sul momento gli stessi stati emotivi raccontati.

Ci sono storie e storie. Lo scopo evidente della gran parte di racconti e romanzi è il semplice divertire, il piacere di seguire una vicenda, attraente a volte fino a perdervi il senso del tempo.

Alcune storie, le metafore, oltre a divertire perseguono l’intento di trasmettere un messaggio utile, un frammento di verità. Quando un’idea si fa complessa o profonda, trovare una immagine, un esempio, una storia che in qualche modo vi corrisponda, permette almeno di farsene una idea. Metafore familiari sono le parabole del Vangelo. Quella del figliol prodigo è ben più efficace di tanti discorsi nel far passare il concetto di un Dio Padre misericordioso.

Le storie sono tante. Le metafore, col loro apporto prezioso di un frammento di verità, sono più rare, vanno individuate. Il terapeuta americano Milton Erickson è stato un maestro in questo. Aiutava le persone in difficoltà, trovando per loro le storie più convincenti a sanare situazioni e risolvere problemi. Si limitava a raccontare, a intrecciare narrazioni di storie, esempi, immagini, efficaci anche con pazienti scaricati da altri.

Una metafora funziona se suscita l’interesse. In certi racconti l’effetto è favorito dal tocco magico di animali che parlano o di re che discutono con gli alberi. Ma il soggetto può essere anche semplice. Nella parabola evangelica della casa costruita sulla sabbia o sulla roccia, l’interesse è dato proprio dalla familiarità del soggetto, col dinamismo sollecitato dal confronto delle due situazioni.

Oltre che interessare, una buona metafora trasmette una verità, sovente di evidenza non immediata. La si riconosce perché l’esporsi alla narrazione muove qualcosa dentro, sollecita la riflessione, il dialogo interiore. Se ne resta toccati, provando il bisogno di elaborare la vicenda per scoprirne l’aspetto utile per il proprio vivere.

La metafora fa bene grazie a una funzione mentale istintiva. Da subito col nascere e in tutto il corso del vivere, che ci si pensi o no, si è dentro occupati a porsi domande cruciali: cosa succede, come si spiega, cosa posso imparare? Le risposte che si riesce a dare vanno a far parte del bagaglio di esperienza, del sapere come vivere meglio.

Si applica questo vaglio critico a tutto, fatti ed eventi del vivere proprio e degli altri, prodotti della fantasia, come storie e romanzi. Con una metafora, letta o ascoltata, l’attenzione è attirata dallo svolgersi della vicenda, mentre l’inconscio si occupa di scoprire l’insegnamento, cosa c’è di utile da portar via. E il tutto avviene in modo spontaneo, automatico. Per questo non è il caso di commenti moraleggianti, spesso aggiunti nelle raccolte di storie. Ogni parola in più è superflua nel racconto del buon samaritano, talmente la verità da cogliere è espressa con eleganza e forza di impatto.

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