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Un cordiale ben ritrovati in quest’oasi di riflessione, di preghiera e di  aggiornamento nello spirito all’ombra del papà terreno di Gesù: il patriarca san Giuseppe.

Il caldo, le giornate lunghe, forse la stanchezza che ci prende in quest’ora ci creano un po’ di difficoltà a stare incollati alla radio per ascoltare. Il nostro incontro è un invito a rilassarci e così permettere allo Spirito di donarci un po’ di sollievo e occhi luminosi per guardare con fiducia il futuro. Noi, che  molte volte viviamo  in difficoltà per la nostra mancanza di salute, di compagnia, di povertà di stima da parte del prossimo, siamo poveri di rapporti con la gente, ma pur in questa situazione, tuttavia,  siamo in una condizione privilegiata per alimentare la speranza.

Le persone povere non solo di bene materiali hanno il segreto della speranza, mangiano  ogni giorno dalla mano di Dio il pane della speranza. I poveri che si fidano di Dio hanno occhi buoni per osservare i fili luminosi che tessono le ore della giornata. Sanno che ieri è stato solo un sogno veloce, il domani è solo una visione, ma che il presente, l’oggi, se ben vissuto con sentimenti positivi, fa del nostro recente passato una bella pagina di serenità e del domani una visione di speranza confortante e gioiosa. 

Per ricordare bene il passato e aprire gli occhi sul futuro è necessario vivere bene il momento presente.

 A proposito di questa viaggio nei sotterranei della nostra storia ricordo una scritto di un prete che diceva: 

«Dio è nell'angolo segreto della tua vita, dove non arriva nulla, dove una voce misteriosa, che non sai di dove viene né dove va, a volte, ti dice ciò che non vorresti ascoltare, ti ricorda ciò che avresti desiderato dimenticare, ma anche ti profetizza ciò che non avresti mai voluto sapere».

 Per noi cristiani ritornare in se stessi non significa solo scoprire il nostro intimo  non solo illuminare tutti i desideri che sono uno stimolo a vivere e accorgersi che il fondamento dell’agire con onestà è dettato dalla presenza di Dio. 

Dio è presente nella nostra coscienza prima ancora che noi lo potessimo invocare.

Nella storia si parla di  un «Manoscritto di Baltimora» datato 1692. In questo non ci sono cose nuove da sapere, ma delle regole antiche da praticare che fruttificano in noi. 

Questi ammonimenti familiari e semplici li possiamo trascrivere come se fossero un eco della vita della famiglia di Giuseppe a Nazareth. 

 Suggerisce questo manoscritto: «Procedi nella calma nel frastuono e nella fretta e ricorda quale pace ci possa essere nel silenzio. Mantieni buoni rapporti con tutti. Esponi la tua opinione con tranquilla chiarezza e ascolta gli altri. Mantiene interesse per la tua professione, per quanto umile, essa costituisce un patrimonio nella mutevole fortuna. Usa prudenza nei tuoi affari in un mondo pieno di inganni, ma questo non ti renda cieco nel non vedere le virtù negli altri perché molti sono coloro che perseguono alti ideali.

 Sii te stesso, non fingere nei tuoi affetti e non ostentare fredda indifferenza verso l’amore, perché pur di fronte a qualsiasi delusione e aridità resta sempre perenne come un sempreverde».

La famiglia di Nazareth era un famiglia modello, nel loro quotidiano comportamento facevano fiorire la nobiltà dei loro sentimenti.

Dobbiamo imparare da Giuseppe, da Maria e da Gesù a tenere sempre alta la fiaccola dei sentimenti nobili di  fronte al gelo della vita, all’aridità e alle oscurità della vita e alla sera coricarsi in pace con tutti.

Dio è sempre presente anche là dove sembra terminare quel poco di felicità fittizia che godiamo. Dio è il sipario davanti alla nausea, alla delusione, all’amarezza dei tuoi errori; Dio ti rialza  dalla vergogna di te stesso. Dio è l’antica nostalgia, un mondo di luce, il sole che avresti desiderato veder brillare soprattutto quando la nebbia ti ha offuscato gli occhi.

 Non scordiamo mai che Dio è sempre presente comunque, ma in modo particolare in tutte quelle azioni che vorremmo  seminare di eterno. 

Dio  arriva sempre prima di noi; è lui che ci aspetta, è Lui che sentiamo pulsare nei nostri ideali, è come un palpito presente là dove sogniamo di arrivare. Dio è nella nobiltà dei nostri sogni, dei nostri progetti di ben fare.

Preghiamo san Giuseppe che ha avuto la grazia di leggere, interpretare e agire in obbedienza ai sogni con cui Dio riempiva il suo animo di uomo giusto.

«O amato san Giuseppe, Dio nel sonno ti ha manifestato i suoi misteriosi progetti per la tua futura sposa Maria e la missione di custodire Gesù, il Salvatore del mondo, ora affidiamo a te la nostra preghiera, i nostri desideri, le aspirazioni e le speranze affinché siano presenti nei tuoi sogni e si possano realizzare per il nostro bene; un bene che ci renda sempre più amici del tuo figlio Gesù, sorgente di benessere fisico e spirituale.  Ottienici la forza di  compiere con prontezza  la volontà del Padre nei nostri confronti e, dal tuo esempio, possiamo imparare a non lasciarci travolgere dalle difficoltà della vita e sentire sempre la tua paterna mano prorettrice nella nostra mano.  Mantienici, oggi come ieri, nel cuore del sonno di uomo giusto.  Amen!».

Sentiamo un po’ di musica.

Nello scorrere del tempo, ci sono di momenti dell’anno in cui la vecchiaia pesa di più ed è il momento in cui si è costretti dalla circostanze a vivere da soli. Allora la solitudine pesa ed intristisce. La compagnia, invece, alleggerisce gli acciacchi, il conversare  fa trascorrere il tempo con maggior soddisfazione e anche gli  stessi anni pesano di meno. In fondo, Cicerone, parlando appunto della vecchiaia, scriveva che: «Tutti desiderano raggiungere la vecchiaia, ma quando arriva l’accusano di essere arrivata troppo i fretta». Questo arrivo pressato dalla fretta le persone anziane lo sentono maggiormente con le partenze dei familiari per le vacanze. 

Gli anziani sentono bruciare nell’anima la solitudine che a volte diventa enorme e paralizzante, in particolare quando si è costretti a dover lasciare la propria casa, passare magari un mese  e più presso una “casa di accoglienza” , una struttura simile ad un albergo, dove però manca il proprio letto, le foto ricordo sul comodino.

   Pesa anche l’essere costretti a coabitare con altri che non si conoscono.

 Anche se è  per un breve tempo, sarà sempre una difficoltà, e una  grande pena.

 Il fluire della vita è come un fiume che cammina sempre, inesorabilmente verso la foce.  Quando la zattera della vita ha percorso un lungo tratto e ha raggiunto l’isola dell’età anziana, ha bisogno di trovare rinnovate motivazioni a vivere.  Nella persona anziana coesistono un intreccio di sensazioni: c’è l’amarezza per i disagi del vivere; c’è il fluire dei ricordi nel fiume della memoria; vengono alla ribalta la realizzazione dei progetti programmati,  l’aver seminato e coltivato dei valori, avere alle spalle un’esistenza pur segnata da qualche ombra, ma soprattutto dalla luce e dalla consapevolezza del bene e del bello.

 È pur vero che con il passare degli anni non si riesce più a mantenere l’entusiasmo dell’età giovanile, ma si recepisce un atteggiamento di disponibilità alle cose semplici, a gustare il ricordo degli anni dell’infanzia.

Papa Francesco spesso insiste nel coltivare i rapporti dei nonni con i nipoti. 

Tra l’anziano e il bambino c’è un’affinità elettiva assai interessante.

 Un prete letterato che portava il nome di Giuseppe (De Luca)  ha scritto delle belle riflessioni su vecchi e bambini. Egli scriveva: «Che lunghi discorsi si fanno i vecchi con i bambini. I vecchi e i bambini sono facilmente amici. Non si vede che cosa si possano dire un vecchio e un uomo adulto, fossero anche padre e figlio; sembrano nemici, certo non confidenti. L’uomo adulto è senza parole anche vicino ai fanciulli».

La persona anziana saggia ha un rapporto di affinità con i fanciulli perché sentono spuntare nel cuore l’affermazione di Gesù: «Se non diventerete come bambini non entrerete nei regno dei cieli». 

Dobbiamo dire che l’essere dei vecchi saggi non è solo una questione anagrafica, ma dipende da una scelta di vita, da un’educazione remota.

Un suggerimento per chi vive accanto alle persone anziane: non dimentichiamo che i nostri nonni da parte nostra hanno bisogno di un supplemento d’anima per offrire compagnia, solidarietà nella preghiera, tempo disponibile per ascoltare o condividere il silenzio  con una presenza silenziosa e affettuosa. 

Come la giornata è divisa in ore e le ore sono caratterizzate dalla quantità  e splendore della luce, per cui noi abbiamo l’alba, il mezzogiorno, il tramonto e il buio. Così possiamo dire dello stato d’animo di ogni persona.  C’è un alternarsi di onde, c’è un vento carezzevole e delicato come pure un vento rigido ed impetuoso.

 Si legge nella tradizione di storie e legende ebraiche si trova questo  significativo racconto. «Il rabbino Mendel si vantò un giorno davanti al suo maestro che la sera egli vedeva l’angelo che arrotolava la luce al venire dell’oscurità, e, al mattino, l’angelo che  arrotolava l’oscurità al venire della luce. “Sì” disse il suo maestro rabbino Elimelech, “l’ho visto anch’io quando ero giovane. Più tardi queste cose non si vedono più”». Ma questa luce è sempre presente in noi come il nome della mamma e al momento del bisogno l’angelo della vita arrotola le tenere e  disvela la luce.  

 In questa altalena di sentimenti  anche la persona anziana può davvero dire e condividere questa confessione di vivere le stagioni della vita come l’alternarsi dei sentimenti coltivati. E allora: «Sono giovane come la mia speranza, ma sono anche vecchio come il mio scoraggiamento.

 Sono giovane come la mia fede e sono vecchio come il mio dubbio.

 Sono giovane come le mie aspirazioni e vecchio come le mie lagne. 

 Sono giovane come il mio sorriso e vecchio come il mio broncio.

 Sono giovane come le mie conquiste e sono vecchio come le mie abitudini. Sono giovane come il mio amore, vecchio come il mio rancore. 

Sono giovane come la mia dolcezza e vecchio come la mia durezza. 

Sono giovane come la mia gioia e vecchio come la mia noia».

Queste due facce della medaglia le portiamo nell’animo, e abbiamo la possibilità di giocarle con i nostri compagni di viaggio, lo facciamo condividendo i sentimenti positivi e li facciamo  lievitare  e si diffondono aumentando la gioia. Al contrario, quando condividiamo la noia, le lagne, il malumore e tutte le cose non vanno bene, il fatto di poterle raccontare e condividere alleggerisce il peso sulle nostre spalle e troviamo solidarietà negli amici e amiche. 

Ma soprattutto nei momenti “no”,  dobbiamo trovare il coraggio e la fiducia nei nostri amici per eccellenza Gesù, san Giuseppe, la Vergine perché ci diano una mano, invocandoli con la preghiera. 

Anche loro nella vita terrena hanno esperimentato la fatica del vivere, il peso dell’incomprensione, la solitudine, il sapore amaro delle lacrime.

Pregare anche che l’intercessione di san Giuseppe possa suscitare nel cuore delle persone sentimenti di solidarietà. Questo vale per i nostri conoscenti, i nostri familiari, gli amici, le amiche da una vita e le persone volontarie che incontriamo ora sul nostro cammino.

 Tutte queste parole valgono anche per chi è sano, giovane e ha del tempo libero da regalare  e donare qualcosa del suo benessere a chi ha meno.  

Anche per questo motivo dobbiamo pregare la bontà divina che, con l’intercessione di san Giuseppe, ci faccia sentire nostalgia di far del bene come l’impegno solidale della nostra fede che non ci permette di essere contenti e felici da soli.

A Nazareth san Giuseppe sentiva risuonare nel suo animo l’eco dell’amore tenero di Dio per ogni sua creatura. Nessuno bussava alla porta della famiglia di Giuseppe e Maria senza ricevere una risposta positiva: un sorriso, un aiuto, una parola, un pezzo di pane, un po’ di olio o un bicchiere d’acqua.  

Una vita responsabile si costruisce con i piccoli gesti che diventano poi il  monumento per la nostra vita.

Gesù ci ha insegnato che pulsa di ideali e di gioia se si riesce ad investirla e scommetterla per una causa grande.

Non è mai troppo tardi per investire le nostre ore e i nostri affetti in cause belle e grandi che si rendono meritevoli di sospendere la vita.

Noi possediamo davvero solo quello che  abbiamo donato agli altri.
A ogni età c'è un tempo per imparare  a donare e ad amare. Se ci investe qualche rimorso per non aver speso bene la vita facciamo diventare uno  stimolo che ci prona a far del bene.  

Il bene trascurato ora può donarci il piacere della scoperta che, come dice Gesù, «C’è più gioia nel dare che nel ricevere».

 A ogni età si può regalare qualcosa della propria esperienza, del proprio pensiero che abbiamo tenuto solo per noi, pensando che non valeva la pena condividerlo. 

Per esperienza sappiamo che l'animo umano è una cassaforte che conserva tutte le ore della nostra vita.

E se qualcosa abbiamo cercato di dimenticare, altro certamente troveremo inalterato per soccorrere chi in questo momento ha bisogno. O forse abbiamo preferito o dovuto accettare una solitudine non amata e al mattino quando ci alziamo non vorremmo che la nostra finestra si aprisse anche oggi sul medesimo panorama di ogni giorno. 

Bisogna reagire perché le ore, anche le più modeste appartengono alla nostra eredità da sfruttare. Anche un saluto cordiale, un interesse per chi si incontra forse nell'unica occasione della giornata quando andiamo a prendere il nostro giornale, possono essere la carezza o la stretta di mano di cui avevamo bisogno. «L'amor che muove il sole e le altre stelle» ci aveva lasciato Dante come ragione di vita. Oggi andiamo a cercare nelle galassie lontane e nei mondi più vicini un accenno sulla vita di una generazione anche diversa da noi per poter dare maggiore ragione alla nostra esistenza. L'umanità fatica a credere a qualcosa che non può toccare, eppure viviamo in mezzo a tante cose che non possiamo prendere con le nostre mani: il vento non lo possiamo fermare tra le braccia, la luce non la puoi chiudere tra le dita, l'amore lo vedi solo riflesso negli altri eppure ci credi e vivi per questo. Ma se saprai guardare al di fuori di te, avrai regalato a te stesso un giorno di felicità.

La freschezza di questi sentimenti vogliamo farcela rivivere nell’anima, interrogando i sentimenti di san Giuseppe verso Maria nei mesi del fidanzamento, rubando le prole a don Tonino Bello.

«Dimmi, Giuseppe, quand'è che hai conosciuto Maria? Forse un mattino di primavera, mentre tornava dalla fontana del villaggio con l'anfora sul capo e con la mano sul fianco, snello come lo stelo di un fiordaliso?

O forse un giorno di sabato, mentre con le fanciulle di Nazareth conversava in disparte, sotto l'arco della sinagoga? O forse un meriggio d'estate, in un campo di grano, mentre abbassando gli occhi splendidi, per non rivelare il pudore della povertà, si adattava all'umiliante mestiere di spigolatrice?

Quando ti ha ricambiato il sorriso e ti ha sfiorato il capo con la prima carezza, che forse era la sua prima benedizione e tu non lo sapevi? E la notte tu hai intriso il cuscino con lacrime di felicità. Ti scriveva lettere d'amore? Forse sì!

E il sorriso con cui accompagni il cenno degli occhi verso l'armadio delle tinte e delle vernici mi fa capire che in uno di quei barattoli vuoti, che ormai non si aprono più, ne conservi ancora qualcuna! Poi una notte hai preso il coraggio a due mani e sei andato sotto la sua finestra, profumata di basilico e di menta e le hai cantato sommessamente le strofe del Cantico dei Cantici: "Alzati amica mia, mia bella e vieni, perché ecco, l'inverno è passato, è cessata la pioggia, se n'è andata; i fiori sono apparsi nei campi, il tempo del canto è tornato, e la voce della tortora ancora si fa sentire nella nostra campagna. Il fico ha messo fuori i primi frutti e le viti fiorite spandono fragranza. Alzati amica mia, mia bella e vieni! O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave e il tuo viso è leggiadro. E la tua amica, la tua bella si è alzata davvero, è venuta sulla strada, facendoti trasalire, ti ha preso la mano nella sua e mentre il cuore ti scoppiava nel petto, ti ha confidato lì, sotto le stelle, un grande segreto. Solo tu, il sognatore, potevi capirla. Ti ha parlato di Iahvé. Di un angelo del Signore. Di un mistero nascosto nei secoli e ora nascosto nel suo grembo. Di un progetto più grande dell'universo e più alto del firmamento che vi sovrastava.

Poi ti ha chiesto di uscire dalla sua vita, di dirle addio e di dimenticarla per sempre.

Fu allora che la stringesti per la prima volta al cuore e le dicesti tremando: "Per me, rinuncio volentieri ai miei piani. Voglio condividere i tuoi, Maria, purché mi faccia stare con te".

Lei ti rispose di sì, e tu le sfiorasti il grembo con una carezza: era la tua prima benedizione sulla Chiesa nascente».

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