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Un suggerimento prudente e autorevole per comprendere e attuare le aperture verso le coppie in situazione irregolare

del card. Ennio Antonelli

Tenendo ferma la distinzione tra verità morale oggettiva e responsabilità soggettiva delle persone, tra norme generali e casi singoli, ci si domanda quali potrebbero essere i momenti e la configurazione concreta di un percorso spirituale e pastorale da proporre alle persone in situazione di fragilità, in modo da rispettare le coscienze e nello stesso tempo testimoniare fedelmente la verità, senza confondere il bene imperfetto con il male. 

Partire dall'umiltà

«Il Sinodo si è riferito a diverse situazioni di fragilità o di imperfezione» (AL, 296). Si preferisce, con sensibilità pedagogica, parlare di imperfezione invece che di irregolarità, per promuovere un atteggiamento comune di umiltà e di tensione permanente verso una maggiore perfezione. Tutte le famiglie devono sentirsi imperfette (cf. AL, 325), anzi tutti i cristiani. Tutti infatti siamo peccatori, perdonati per alcuni peccati e preservati da altri (anche i santi eroici sono almeno peccatori preservati). Questa umile consapevolezza deve scandire costantemente il nostro cammino spirituale. 

Ma tutti dobbiamo pure respingere la tentazione fondamentale, quella dell’autogiustificazione. Dobbiamo evitare di ostentare «un peccato oggettivo come se facesse parte dell’ideale cristiano» (AL, 297). La stessa cosa è stata già insegnata con forza anche da san Giovanni Paolo II nella sua enciclica sulla teologia morale: «è inaccettabile l’atteggiamento di chi fa della propria debolezza il criterio della verità sul bene, in modo da potersi sentire giustificato da solo» (Veritatis Splendor, 104). La coscienza non è creatrice di moralità (cfr. Veritatis Splendor, 55-56); non può decidere da sola che cosa è bene e che cosa è male; è la norma morale prossima ed è retta quando aderisce alla norma suprema, cioè quando cerca e compie la volontà di Dio. Ma quando cerca di fare la volontà di Dio, la coscienza è onesta, anche nel caso che fosse erronea. Una saggia pedagogia degli adulti, non diversamente da quella dei ragazzi, esige che essi siano stimolati a procedere per piccoli passi, proporzionati alle loro forze, «che possano essere compresi, accettati e apprezzati» (AL, 271).

Per conoscere e compiere la volontà di Dio è necessaria innanzitutto la preghiera. «Dio, infatti, non comanda l’impossibile, ma quando comanda ti ammonisce di fare quello che puoi, di chiedere quello che non puoi, e ti aiuta perché tu possa» (Concilio di Trento, DH 1536). Ai conviventi, ai divorziati risposati e agli sposati civilmente la cura pastorale della Chiesa offre innanzitutto il sostegno della preghiera e poi lo stimolo per l’impegno attivo. «Invoca con essi la grazia della conversione, li incoraggia a compiere il bene, a prendersi cura con amore l’uno dell’altro e a mettersi a servizio della comunità nella quale vivono e lavorano» (AL, 78). La meta di questo cammino di crescita viene indicata come la pienezza del piano di Dio (cfr. AL, 297), che per alcuni potrebbe essere la celebrazione del matrimonio sacramentale, per altri l’uscita dalla situazione irregolare mediante l’interruzione della convivenza o almeno mediante la pratica della continenza sessuale (cfr. san Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, 84).

Il cammino di crescita non riguarda solo la vita di coppia, ma anche l’integrazione nella concreta comunità ecclesiale: santa Messa e altre celebrazioni liturgiche, incontri di formazione, preghiera e fraternità conviviale, attività di carattere missionario e caritativo. «La loro partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre però discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate» (AL, 299).

Per accedere alla Comunione eucaristica

L’ammissione alla comunione eucaristica normalmente esige la completa comunione visibile con la Chiesa. Non può essere concessa come regola generale finché dura la situazione di vita oggettivamente disordinata, quali che siano le disposizioni soggettive. Tuttavia sono possibili eccezioni e, come si è già visto, il Papa mostra di essere disposto ad ammetterle in alcuni casi (cfr. AL, 300; 305; note 336; 351).

Ovviamente è sempre vera la dottrina che ogni peccato mortale esclude dalla comunione eucaristica, testimoniata da tutta la tradizione, da san Paolo (1 Cor 11, 27-29) al Concilio di Trento (cfr. DH 1646-1647; 1661), a san Giovanni Paolo II (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1385; 1415; Ecclesia de Eucharistia, 36), il quale menziona anche specificamente gli atti sessuali fuori del matrimonio (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2390). Papa Francesco mette in risalto il carattere sociale (la discriminazione dei poveri) che aveva il peccato incompatibile con l’Eucarestia, condannato da san Paolo (cfr. AL, 185-186). 

«La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero» (AL, 296). Occorre però chiedere e accogliere la misericordia divina con cuore sincero, impegnandosi a cambiare vita. La misericordia non ha nulla a che fare con la tolleranza; non solo libera dalla pena, ma guarisce dalla colpa; opera la conversione nei peccatori che cooperano liberamente con essa. Solo con la conversione si accoglie il perdono, che Dio, da parte sua, non si stanca mai di offrire.

Per le coppie in situazione irregolare il cambiamento adeguato è il superamento della loro situazione, almeno con l’impegno serio della continenza, anche se per la fragilità umana si prevedessero ricadute (cfr. AL, nota 364). Se manca questo impegno, è piuttosto difficile individuare altri segni delle buone disposizioni soggettive e della vita in grazia di Dio sufficientemente sicuri. Tuttavia si può raggiungere una ragionevole probabilità, almeno in alcuni casi (cfr. AL, 298; 303).

Un parere prudente

In attesa di auspicabili indicazioni più autorevoli, provo a ipotizzare con molta esitazione un modo di procedere in foro interno nel difficile caso in cui si riscontrasse la mancanza di un chiaro proposito riguardo alla continenza sessuale. Il sacerdote confessore può incontrare un divorziato risposato che crede sinceramente e intensamente in Gesù Cristo, conduce uno stile di vita impegnato, generoso, capace di sacrificio, riconosce che la sua vita di coppia non corrisponde alla norma evangelica, tuttavia ritiene di non commettere peccato a motivo delle difficoltà che gli impediscono di osservare la continenza sessuale. Da parte sua il confessore lo accoglie con cordialità e rispetto; lo aiuta a rendere migliori le sue disposizioni, in modo che possa ricevere il perdono: rispetta la sua coscienza, ma gli ricorda la sua responsabilità davanti a Dio, il solo che vede il cuore delle persone; lo ammonisce che la sua relazione sessuale è in contrasto con il Vangelo e la dottrina della Chiesa; lo esorta a pregare e ad impegnarsi per arrivare gradualmente, con la grazia dello Spirito Santo, alla continenza sessuale. Infine, se il penitente, pur prevedendo nuove cadute, si mostra disponibile a fare dei passi nella giusta direzione, gli dà l’assoluzione e lo autorizza ad accedere alla comunione eucaristica in modo da non dare scandalo (ordinariamente in un luogo dove non è conosciuto, come già fanno i divorziati risposati che si impegnano a praticare la continenza). In ogni caso il sacerdote deve attenersi alle indicazioni date dal suo vescovo.

Il sacerdote è chiamato a mantenere un difficile equilibrio: da una parte deve testimoniare che la misericordia è il cuore del Vangelo (cfr. AL, 311) e che la Chiesa, come Gesù, accoglie i peccatori e cura i feriti della vita; d’altra parte deve custodire la visibilità della comunione ecclesiale con Cristo che risplende nella predicazione fedele del Vangelo, nella celebrazione autentica dei sacramenti, nella giusta disciplina canonica, nella vita coerente dei credenti; deve in particolare potenziare la missione evangelizzatrice della famiglia cristiana, chiamata ad irradiare la presenza di Cristo con la bellezza dell’amore coniugale cristiano: uno, fedele, fecondo, indissolubile (cfr. Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes, 48).

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