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Divorziati e risposati

di Angelo Sceppacerca

La disgregazione della propria famiglia è spesso vissuta come l’esperienza personale in assoluto più dolorosa e lacerante. Eppure, la rappresentazione del dramma della separazione subisce una distorsione: da un lato è banalizzata e mercificata, dall’altro ne vengono amplificati gli aspetti dolorosi, in una visione senza speranza. Il disorientamento e lo scoraggiamento possono cogliere la persona separata, alimentando la sensazione di un’ingiusta esclusione nella comunità dei cristiani. Il dramma della separazione può distruggere, ma può anche, al di là di ogni ragione umana, essere occasione di Grazia. Domande fondamentali possono riemergere dalla cenere dell’abitudine con tutta la loro forza e urgenza. Alcuni hanno trovato Dio, un Dio diverso da quello conosciuto finora. Molti si sono sentiti cercati da Dio proprio nella loro sofferenza, nelle loro “storie sbagliate”. Chiamati a decidere quel grande salto nella fede vissuta, spesso così a lungo rimandato.
La Chiesa non abbandona i divorziati, i risposati, pur riconoscendone la condizione non evangelica. A parte l’Eucaristia – che resta il vertice della vita cristiana – tutto il resto del patrimonio della Chiesa è a loro disposizione perché si sentano amati e spronati a mettersi in cammino: catechesi, Parola di Dio, gruppi di condivisione, preghiera.
Non sembri provocatorio, ma nella pastorale della famiglia la prima preoccupazione non deve essere quella di fare qualcosa per le coppie in situazione irregolare (divorziati risposati, coppie di fatto, coppie omosessuali), tantomeno quella di condannare gli errori e i mali della vita coniugale e familiare. La prima cosa da fare, invece, è formare famiglie cristiane esemplari, che hanno un rapporto vivo con Gesù Cristo e da lui attingono un di più di amore e unità, generosità e coraggio, gioia e bellezza. Senza dimenticare le tante famiglie in difficoltà o disgregate, proprio per arrivare ad esse, l’apostolato più efficace è quello della testimonianza e della vicinanza attiva delle famiglie cristiane esemplari.
Verità e misericordia

La testimonianza di queste famiglie, la loro preghiera, la loro rispettosa sollecitudine rende concreto e tangibile l’atteggiamento della Chiesa nei confronti di quelle persone che convivono senza autentico matrimonio e perciò non possono inserirsi nella piena comunione visibile della Chiesa, senza peraltro esserne separati. Giovanni Paolo II, nella Familiaris consortio, ha scritto: “Esorto caldamente i pastori e l'intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio.
La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza. La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati.
Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia.
C'è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all'Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio (…) Con ferma fiducia essa crede che, anche quanti si sono allontanati dal comandamento del Signore ed in tale stato tuttora vivono, potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità” (FC 84).
L’atteggiamento della Chiesa, scrive ancora Giovanni Paolo II in Reconciliatio et poenitentia, applica “la coesistenza e il mutuo influsso di due principi, egualmente importanti, in merito a questi casi.
Il primo è il principio della compassione e della misericordia, secondo il quale la Chiesa, continuatrice nella storia della presenza e dell'opera di Cristo, non volendo la morte del peccatore ma che si converta e viva, attenta a non spezzare la canna incrinata e a non spegnere il lucignolo che fumiga ancora, cerca sempre di offrire, per quanto le è possibile, la via del ritorno a Dio e della riconciliazione con lui.
L'altro è il principio della verità e della coerenza, per cui la Chiesa non accetta di chiamare bene il male e male il bene. Basandosi su questi due principi complementari, la Chiesa non può che invitare i suoi figli, i quali si trovano in quelle situazioni dolorose, ad avvicinarsi alla misericordia divina per altre vie, non però per quella dei sacramenti della penitenza e dell'eucaristia, finché non abbiano raggiunto le disposizioni richieste” (Reconciliatio et Poenitentia, 34).

(segue)

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