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Dopo un cordiale saluto  a tutti e un rinnovato augurio di un buon anno 2017, vogliamo mettere da subito tutti i giorni di questo 2017 sotto la custodia e la protezione di san Giuseppe.

Desideriamo essere dei fiori, boccioli aperti a cogliere la rugiada delle benedizioni celesti che la  fedele custodia di san Giuseppe con fervore e simpatia invoca su ciascuno di noi.

Come l’ombra di san Giuseppe ha costantemente accompagnato Gesù nei giorni della sua vita terrena, ora questa mano benedicente accompagna anche noi, fratelli del suo figlio Gesù, lungo i sentieri del nostro esistere.  Il primo giorno dell’anno la liturgia della messa  ha invocato l’abbondanza delle benedizioni divine sulla nostra vita affinché la nostra stessa esistenza diventasse una costante benedizione. 

Infatti, se non impariamo anche noi ad essere benedizione per il nostro prossimo non riusciremo mai ad essere davvero felici. 

Di fatto, benedire è invocare dal cielo  una forza che faccia crescere la vita; significa essere capaci di ripartire, di risorgere. 

Essere benedetti significa scoprire il bene che c’è in ogni fratello e sorella  e ringraziare Dio che ha fatto brillare la luce del suo volto nel volto dei nostri fratelli e sorelle. 

In fondo saper benedire null’altro è che scoprire di essere amati da un Dio delle grandi braccia e da un cuore di calda luce di amore.

Dio padre ha affidato in custodia a san Giuseppe il bene più prezioso che avesse: il suo figlio Gesù e lo ha  fatto affinché fosse per l’umanità intera una fonte inesauribile di benedizioni. 

Carissimo san Giuseppe, animati da questi sentimenti, eccoci anche stasera fedeli all’appuntamento con te come ogni 1° mercoledì del mese. 

Oggi desideriamo essere accanto a te nella tua abitazione provvisoria di Betlemme. 

Questa sera immaginiamo di incontrarti nel paese Betlemme, il luogo di nascita del tuo antenato, il re David.

Per obbedire alla legge di un re straniero, tu, o Giuseppe, hai pellegrinato per giorni e giorni, sul sentiero dei tuoi antenati, fin là dove l’imperatore romano ha voluto che tu certificassi la tua presenza nella terra di Giuda.

Infatti,  David, il pastorello consacrato re, sta alla radice del tuo casato. 

Betlemme ha un nome simpatico non solo perché ha dato i natali a Gesù, l’atteso Messia del popolo ebraico, ma anche perché ha il sapore e la fragranza del pane fresco. 

Per la distesa dei suoi campi seminati a grano, questa cittadina ha ereditato il nome di Bet-lehem che significa “casa del pane”.

In quei campi ha spigolato Rut, questa giovane vedova straniera che diventerà la moglie di Boz, un tuo antenato, o Giuseppe, presente nella dinastia tramandata dagli evangelisti Matteo e Luca.

A questo punto, per giustificare il nostro colloquio, mi piace ricordare quello che un importante filosofo, accademico di Francia, amico di Paolo VI Jean Guitton, che  già papa Giovanni XXIII aveva invitato, unico laico allora, come uditore al Concilio Vaticano II.  

Ebbene, Jean Guitton ha scritto queste parole: Gesù è nato «in un solo tempo, in un solo punto, - e così - Cristo ha dato a quel tempo, a quel luogo, a quel punto, un valore infinito». 

Tutto questo per dirci che è Cristo è un nostro contemporaneo.

L'incarnazione, la nascita di Gesù tra noi, è la manifestazione suprema di Dio, la vita di Gesù non è più e appena o soltanto un evento storico particolare, passeggero come la nascita di un grande personaggio, ma questa nascita acquista un significato universale e permanente per tutti gli uomini di tutti i tempi.

Dopo la visita degli umili, i pastori, tu, o Giuseppe, oggi, siedi accanto a Gesù. Siete in attesa dell’arrivo dei magi, i sapienti che vengono da lontano e porteranno i loro doni all’Emmanuele: sarà il simbolico omaggio dei popoli a  Dio fattosi uomo. 

Anche noi, caro San Giuseppe, all’inizio del nuovo anno vorremmo portare il cofanetto delle nostre speranze davanti a Gesù. 

Il tempo del nuovo anno, appena iniziato, è uno scrigno pieno di sogni, di desideri, di speranze, come pure di opportunità offerte alla vita.

 Questo scrigno contiene i successi, l’armonia nell’anima, la pace familiare, qualche lacrima da versare e anche qualche consolazioni da godere. 

 Il tempo futuro è un ventaglio di elementi che la Provvidenza ci offre come opportunità.

 Ogni avvenimento è una sollecitazione a far uscire nuove energie sepolte nelle qualità dei nostri talenti. 

  Tu, o san Giuseppe, in quella notte di luce, hai visto i volti sorridenti dei pastori che ritornavano alle loro occupazioni contenti e, poi, di loro dice l’evangelo: «dopo aver visto Gesù, riferirono ciò che del bambino era stato riferito loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose loro dette dai pastori».

 La facoltà di stupirsi è una grande risorsa nella nostra esistenza umana.

Non possiamo dimenticare che la vita con la serie dei suoi eventi è sempre maestra; una maestra che apre il campo della nostra esistenza e ci permette di entrare in un rapporto con Dio. 

La gioia di stringere tra le tue braccia Gesù, o san Giuseppe, il volto raggiante di luce della tua dolce amabile sposa, Maria per il miracolo di una maternità singolare. 

 Ogni gioia ha il suo prezzo, anche la gioia di godere nel sentirsi amati ha il suo pedaggio da pagare. 

 L’hai pagato anche tu, o san Giuseppe, e a caro prezzo. L’hai pagato con la sofferenza del dubbio  sulla fedeltà di Maria al tuo amore.

 Quante notti insonni hai passato con un interrogativo che ti crivellava l’anima come un sondino nella carne viva.

L’incontro con Dio non è una realtà che si possa copiare dagli altri, oppure standardizzata  come una bambola di plastica, ognuno ha il suo percorso; per te, Giuseppe fu il cruccio del dubbio. Ma tranquillizzato dall’annuncio dell’angelo, passato il cruccio, è subentrata la paura della  tua fragilità nel sopportare una missione così grande: gestire  a nome del Creatore del cielo e della terra, la paternità legale nei confronti di Gesù, il figlio dell’Altissimo, lui l’Ineffabile, lui il Creatore dell’universo per il quale sono state fatte tutte e cose visibili ed invisibili. 

 

Dopo domani, nella festa dell’epifania, starà a te, o Giuseppe, fare gli onori di casa ai re magi: inizierà il tuo compito di padre legale di Gesù. 

Quando porterai al tempio di Gerusalemme il piccolo Gesù, anche là avrai gli onori espressi da due vecchi, carichi di anni, ma con gli occhi capaci di penetrare il futuro di Dio.  

Simeone ed Anna rappresentano le sentinella di un’umanità attenta al suono delle melodie di Dio.

 Quando Gesù a Nazareth, all’inizio della sua vita pubblica,  o caro Giuseppe sarai chiamato ancora in causa: i tuoi compaesani diranno: «ma non è costui il figlio di Giuseppe, il carpentiere?».

 Giuseppe, tu sei stato incaricato dall’Altissimo a custodire la luce destinata ad illuminare ogni uomo e donna che entrano nel mondo, aiutaci  a dissipare le tenebre dei nostri cuori.

Aiuta a trovare e scorgere la luce in coloro che cercano Gesù con un cuore sincero. 

Suscita nei nostri cuori la volontà di seguire i passi di Gesù e a non dimenticare mai, anche nelle stagione avverse della nostra vita, che il tuo figlio Gesù è la dimostrazione di un amore infinito da parte di  Dio per ogni creatura di buona volontà.

Il popolo ebraico, iniziando il libro dell’esodo, nutriva nel cuore una grande speranza: uscire dalla schiavitù per assaporare la libertà. La libertà era una pagina bianca da scrivere sulle piste di un deserto mai conosciuto. In questo viaggio Dio interviene con due elementi: un fuoco che illumina l’accampamento nella notte e una nube che protegge gli esuli durante il giorno. Quando la nube si alzava il popolo si metteva in cammino e quando le tenebre scendevano il fuoco abbracciava l’accampamento come un guardiano della “benedizione” che accompagnava il nuovo popolo eletto.

Il fuoco è luce, calore, energia, vita. La nube è protezione, segno di una sollecitudine divina, garanzia per una meta da raggiungere.

 All’inizio del nuovo anno, l’augurio è che il fuoco dell’amore e la nube della benedizione accompagni i giorni del prossimo anno e per tutti il cammino della vita sia pianeggiante.

Dio ci benedica.

 Siamo qui davanti a Gesù  il medico delle nostre anime e come i pastori , come i magi, come tutti gli uomini e le donne di  buona volontà vorremmo sussurrare una preghiera fiorita in questi giorni sulle labbra di tutti i credenti.

E mentre pronunciamo con le parole questa preghiera finale lasciamo scorrere nel sottofondo il canto natalizio di invito ai fedeli ad adorare Gesù alla grotta di Betlemme.

 Adeste fideles

 Gesù, in quella notte di grande silenzio, il canto degli angeli, che annunziava la grande gioia, è stato ascoltato soltanto dai pastori, che erano tra gli emarginati di allora. Tu, Gesù ha voluto entrare e partire dagli spazi dell’emarginazione, per ricordarci che nessuno è emarginato agli occhi di Dio e proprio loro sono gli invitati privilegiati per il tuo Natale.  In quella notte, chi era sicuro di sé, autosufficiente, è stato a casa tra le sue cose. Gli umili, i pastori invece «andarono, senza indugio» (cfr Lc 2,16). Anche noi chiediamo la grazia di lasciarci interpellare e convocare davanti alla tua grotta; Gesù, veniamo da te con fiducia. Desideriamo  partire da quello spazio della nostra anima nel quale ci sentiamo emarginati. Partiamo dai nostri limiti, dai nostri peccati.  Desideriamo,  Gesù, lasciarci toccare dalla tenerezza che salva.  Ci avviciniamo a te, o figlio di Dio che ti fai vicino, ci fermiamo a guardare la tua culla e vediamo il tuo volto illuminato dalla luce e dalla pace. In quel viso da bambino  vediamo lo stesso volto visibile del Dio invisibile nascosto nelle pieghe della povertà umana.

Gesù, vogliamo entriamo in punta di piedi nella grotta, scaldata dal tepore degli animali e  portare davanti a te il nostro stupore e la verità di quello che siamo, le nostre emarginazioni, le nostre ferite non guarite, i nostri peccati. Così, o Gesù, assaporiamo la gioia e la bellezza di essere amati da Dio. Gesù tu nasci come pane nella mia vita, e, per questo, ti diciamo di cuore: Grazie. 

Il Natale «È un mistero di luce che gli uomini di ogni epoca possono rivivere nella fede e nella preghiera.  Ed è proprio la preghiera il canale che ci permette di accostarci a Dio, in un clima di intimità.  In quest’ora di spiritualità stiamo tentando di lanciare un ponte per entrare nel mondo di Dio. Questo ponte ci permette di affacciarci sul panorama della nostra storia nella quale troviamo Gesù che ha voluto far parte della nostra storia con la sua nascita tra noi. 

 La nostra preghiera desidera essere una composizione di sentimenti di gratitudine a Dio che ha voluto farsi uno di noi; un dialogo in cui la parole si fanno specchio del nostro intimo, in cui sono riflesse le nostre preoccupazioni, gli affetti coltivati, e, in particolare, la speranza per un futuro sereno. 

E in questo memento di fervorosa preghiera, in questo clima natalizio,  vorrei suggerire di avviarci idealmente verso la grotta di Betlemme e unirci allo stupore dei pastori e alla gioia di Giuseppe e Maria. 

Sentire il battito del loro cuore, respirare la loro gratitudine a Dio per una maternità e una paternità singolare. Nei loro sentimenti  era concentrata la gratitudine dei secoli che avevano atteso il messia e il ringraziamento  di tutta la nostra storia santificata  della presenza del figlio di Dio tra noi. 

 La preghiera era l’ossatura  della fede dei due giovani sposi Maria e Giuseppe.  Fin da ragazzi Maria e Giuseppe avevano imparato a ringraziare Dio per il dono della vita e del necessario per vivere; almeno cinque volte al giorno innalzavano gli occhi al cielo pe ringraziare.  

 Anche da sposati Giuseppe e Maria hanno continuato la tradizionale della preghiera che non era mai ripetitiva, ma sempre era animata dalla freschezza di sentimenti rinnovati. 

Per noi la casa di Nazareth è una divenuto una scuola di preghiera, una cattedrale di singolare sapienza  che la vita di ogni persona deve frequentare  per imparare ad ascoltare, a meditare, a penetrare il significato profondo della manifestazione del Figlio di Dio tra noi, imparando  dall’esempio di Maria, Giuseppe e da  Gesù stesso il dialogare con Dio sorgente della vita.

  Poco più di 50 anni fa, nel 1964, il beato papa Paolo VI proprio nella sosta alla casa di Nazareth disse che alla scuola della Santa Famiglia noi «comprendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale, se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare discepoli del Cristo». E aggiunse: «In primo luogo essa ci insegna il silenzio. Oh! se rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito: mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo» Poi Paolo VI usciva in questa invocazione: «Oh! silenzio di Nazareth, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri» 

 Dopo questa citazione di Paolo VI, possiamo ricavare degli spunti di riflessione sulla preghiera, sul rapporto con Dio vissuti nella Santa Famiglia raccontati dagli evangeli dell’infanzia di Gesù.  

 Nell’arte, nella rappresentazione della nascita di Gesù, i pittori  hanno sempre dipinto la Mamma di Gesù con lo sguardo rapito dalla contemplazione del bambinello Gesù. 

La contemplazione -  potremmo descriverla come «avere gli occhi fissi negli occhi». - La bibbia ci parla spesso del desiderio di cercare e di vedere il volto di Dio. 

Alla Vergine madre,  da subito, il volto di Gesù appartiene a titolo speciale, poiché è nel suo grembo che si è formato, prendendo da lei anche un’umana somiglianza. Nei nove mesi di gestazione a Nazareth Maria ha fatto percorrere in quella creaturina custodita nel suo grembo sentimenti di  ammirazione, di stupore, di meraviglia.

Il cielo e la terra si sono congiunti per sempre, nel grembo di una donna, Maria.

 Un arcobaleno colorato ha congiunto le due sponde: l’eterno di Dio ha raggiunto il tempo dell’uomo: Dio con la nascita di Gesù ha unito il cielo con la terra e la parola amore non è solo un concetto ma ha il volto di un bambino, ha un nome, Gesù, ha un volto di un ambino di cui prendersi cura. Diventerà un uomo e lui si prenderà cura di noi e sarà il salvatore. 

«La nascita che celebriamo oggi, fa rinascere anche noi che l’accogliamo, per questo Dante può dire “Vergine Madre, Figlia di tuo Figlio».  

O caro e amabile Gesù, Bambino, tu hai deciso di nascere tra noi, diventare uno di noi, ha voluto condividere il tutto della vita umana. Dalla tenerezza di un abbraccio di mamma all’abbraccio doloroso  delle due braccia della croce.

In questa stagione natalizia anche noi vogliamo essere mangiatoia che accoglie, braccia materne che cullano, sguardo paterno che veglia.  In questo appuntamento della tua nascita, siamo come sempre ci capita, ad un bivio: o essere indifferenti e lasciar perdere tutto o rassegnarci a una stagione di menopausa spirituale, senza flussi di vita  oppure attivarsi e così mantenerci fertili e fecondi per una vita da  spendere  come onda accarezzevole per il benessere del prossimo.

Gesù, questa sera, vogliamo immaginare di essere nei panni e nell’anima di Giuseppe e Maria, vogliamo, come diceva padre Turoldo, vivere questo tempo come «il tempo del concepimento di un Dio che ha sempre da nascere». 


Gesù, aiutaci a vivere la gioia della tua nascita tra noi, rinvigorisci la luce  guarisci le nostre malattie che angustiano il nostro esistere. 

Se questo, per la nostra pigrizia non avviene, tutto il Natale scivola via come pioggia  sul vetro. Ricordiamoci allora qual è il Natale che abbiamo festeggiato.

Vogliamo gridare che  è stato un regalo prezioso; un dono di speranza e un’energia divina che non solo fa nascere il bene, ma lo aiutata a crescere. Amen.

Ora lasciamoci cullare con un canto natalizio Astro del ciel

L’immagine di Gesù Bambino in questi giorni è al centro di attenzione in tutti i nostri presepi. 

Il suo volto è sorridente e le sue braccia sono aperte per un fraterno abbraccio. 

Dio Padre desiderando recuperare un passato dell’umanità inquinato dal peccato, ha iniziato un restaura radicale iniziando da un bambino, fragile ed indifeso che inizia a percorrere un cammino di redenzione con un bambino che nasce. 

Sappiamo dall’antica tradizione latina che  il volto di un bambino è lo specchio del volto e dei sentimenti della mamma.  Gli antichi latini dicevano infatti che «Filii matrizant», cioè i figli maschi prendono la porzione preziosa e nobile dei sentimenti della mamma. 

E questa sera vogliamo fermarci a contemplare ed ammirare il volto di Gesù bambino e in quel colto scoprire i lineamenti affascinanti di Maria.

Senza dubbio, possiamo dire che nessuno si è dedicato con maggior assiduità alla contemplazione del volto di Gesù come la sua mamma, Maria. 

Nella sua sensibilità femminile, nel panorama della missione che l’angelo Gabriele le aveva affidato, spesso lo sguardo del suo cuore si era già concentrato su Gesù. 

Come tutte le future mamma, nei mesi della gestazione, anche Maria ha avvertito a poco a poco una presenza  che gonfiava il suo ventre come una vela aperta su un vasto panorama.  Maria ha sognato e immaginato le sembianze del figlio, fino al giorno del parto, quando i suoi occhi poterono contemplare il volto del figlio. Lo ha contemplato mentre lo avvolgeva in fasce e lo deponeva nella mangiatoia. L’ha contemplato con gli stessi occhi di Giuseppe. L’ho contemplato con gli occhi luminosi all’arrivo dei pastori, dei magi.

 Poi, con il passare del tempo, i fatti della vita di Gesù erano depositati nella sua mente e nello scrigno del suo cuore, e hanno segnato ogni istante dell’esistenza di Maria. 

Ella ha vissuto, e ancora oggi vive. con gli occhi su Cristo e fa tesoro di ogni suo sguardo e sorriso. O ogni suo desiderio si fa parola.

 San Luca dice: «Da parte sua [Maria] custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore». «Come in un diario indelebile tutto viene registrato nel suo cuore di mamma, e così descrive l’atteggiamento di Maria davanti al Mistero dell’Incarnazione, atteggiamento che si prolungherà in tutta la sua esistenza: custodire le cose meditandole nel cuore». 

L’evangelista Luca che ci fa conoscere il cuore di Maria, ci apre lo scrigno della sua grande fede e presenta Maria come modello di ogni credente che conserva e si confronta con le parole e le azioni di Gesù; un confronto che è sempre una progressione nella conoscenza di questo Figlio che va raccontando con parole umane l’agire di Dio. 

 Questa capacità di Maria nel sentirsi avvolta e accompagnata dallo sguardo di Dio è stata contagiosa.

 «Il primo a farne l’esperienza è stato san Giuseppe. Il suo amore umile e sincero per la sua promessa sposa e la decisione di unire la sua vita a quella di Maria ha attirato e introdotto in questo clima di amore anche lui». 

 L’energia spirituale che ha attirato Giuseppe è stata la sua rettitudine di cuore, il suo amore per la giustizia e la delicatezza del suo cuore. È  per questo l’evangelo lo chiama Giuseppe «uomo giusto».

 Anche per il nostro cammino di credenti è importante avere come punto di partenza questa espressione: «Incomincia ad ammirare quello che Dio ti mostra  e non avrai più tempo di  cercare  quello che ancora egli ti nasconde».

 I nostri occhi, con la luce stessa di Dio, il mondo esterno a noi diventa epifania, cioè:  manifestazione  stessa di Dio. 

 È necessario possedere occhi puri e così sentiremo questa misteriosa e reale presenza di Dio e così vivere in una singolare intimità con lui. 

 Già dal matrimonio con Maria, Giuseppe incomincia un nuovo modo di relazionarsi con Dio, di accoglierlo con adesione totale nella propria vita, di entrare nel suo progetto di salvezza, compiendo anche con suprema fatica la sua volontà. 

«Dopo aver seguito con fiducia l’indicazione dell’Angelo – “non temere di prendere con te Maria, tua sposa” - Giuseppe ha preso con sé Maria e ha condiviso la sua vita con lei; ha veramente donato tutto se stesso a Maria e a Gesù, e questo l’ha condotto verso la perfezione della risposta alla vocazione ricevuta. 

Il Vangelo, come sappiamo, non ha conservato alcuna parola di Giuseppe: la sua è una presenza silenziosa, ma fedele, costante, operosa.  

 Qualche anno fa papa Benedetto XVI  aveva detto che noi «possiamo immaginare che anche lui,  Giuseppe, come la sua sposa e in intima consonanza con lei, abbia vissuto gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza di Gesù gustando, per così dire, la sua presenza nella loro famiglia. 

Giuseppe ha compiuto pienamente il suo ruolo paterno, sotto ogni aspetto. Sicuramente ha educato Gesù alla preghiera... Lui, in particolare, lo avrà portato con sé alla sinagoga, nei riti del sabato, come pure a Gerusalemme, per le grandi feste del popolo d’Israele. Giuseppe – ha detto ancora papa Benedetto -, secondo la tradizione ebraica, avrà guidato la preghiera domestica sia nella quotidianità - al mattino, alla sera, ai pasti -, sia nelle principali ricorrenze religiose. Così, nel ritmo delle giornate trascorse a Nazareth, tra la semplice casa e il laboratorio di Giuseppe, Gesù ha imparato ad alternare preghiera e lavoro, e ad offrire a Dio anche la fatica per guadagnare il pane necessario alla famiglia».

 Nella pagine dell’evangelo è narrato lo smarrimento di Gesù a Gerusalemme in occasione della pasqua. In quell’episodio di Gesù adolescente, l’evangelista registra anche le prime parole di Gesù: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo essere in ciò che è del Padre mio?» (2,49)… 

«Alla domanda perché ha fatto questo al padre e alla madre, Egli risponde che ha fatto soltanto quanto deve fare il Figlio, cioè essere vicino  al Padre.

 Così Gesù nel momento in cui entrar nella maturità, come membro effettivo del popolo ebraico, indica chi è il vero Padre e cosa significa la vera e autentica casa in cui poter abitare con gioia e soddisfazione. Gesù non ha fatto niente di strano, non ha disobbedito, ma è rimasto fermo, ancorato ai motivi fondamentali della sua vita. Lui si trovava là, nel luogo in cui si deve trovare un figlio affezionato. 

Da quel momento la paternità di Giuseppe e la maternità di Maria entrano in un'altra dimensione: ora è Gesù che prende consapevolezza della sua missione.

I rapporti familiari  entrano in un nuovo spartito musicale  ed è Gesù a comporre la musica, a dirigere l’orchestra  e a dare il ritmo di una danza in conformità ai desideri  del Padre che lo ha invito nel mondo.

La parola «Padre» è la chiave che apre il panorama sul mistero di Cristo, che è il Figlio mandato dal Padre a salvare l’umanità, ma è anche la chiave che ci permette di affacciarsi sul panorama della nostra vita cristiana, noi siamo diventati figli “attraverso e per mezzo e in compagnia” di questo Figlio prediletto dal Padre con il nome di Gesù, il salvatore. 

Il canto del Gloria  che viene  cantato all’inizio di ogni celebrazione eucaristica, è l’eco di una musica angelica che, nella notte in cui è nato Gesù, gli Angeli hanno organizzato un concerto musicale  per la gente umile, i semplici, i pastori.

La gioia di quell’armonia  era un messaggio di pace e una carezza di amore da parte di Dio che si è dichiarato un innamorato  di questa umanità uscita da un progetto di amore che aveva sognato  bello e soddisfacente che l’invidia e la presunzione umana aveva infranto. 

Il dramma umano del peccato e la parabola della redenzione costituiscono lo scenario della nostra condizione umana.

Nel mese  di novembre 2016 si è celebrato il centenario della nascita di padre David Maria Turoldo.

Mai viene ricordato che padre Turoldo, sacerdote del glorioso ordine dei Servi di Maria, è stato battezzato con il nome di Giuseppe e la sua vita di fede fu movimentata come quella di San Giuseppe. 

Nel mondo della bibbia il nome di una persona contiene l’anima della sua stessa vita. 

Ieri abbiamo celebrato la memoria del nome di Gesù. 

 San Giuseppe  ha dato il nome a Gesù che Dio stesso aveva indicato. “gli porrai nome Gesù. Egli  salverà il popolo dai suoi peccati”. 

 La missione di Gesù è quella di essere salvatore. 

 Per noi cristiani chiamare Gesù significa stabilire con lui un rapporto profondo, personale. Infatti riconoscendolo come salvatore con il battesimo siamo portati a sentirci a nostra volta dei salvatori; cioè persone abilitate a portare nella nostra vita, nelle parole e nei nostri gesti quella salvezza che Gesù porta nella nostra vita. «Egli passava beneficando tutti», dice l’evangelo.

Pensiamo all’importanza del nome quando Gesù cambia il nome a Simone e lo chiama “Cefa”, cioè “Pietro”, pietra solida su cu Gesù colloca il cardine della continuità della sua chiesa.

Qui vorrei permettermi una digressione che fa onore a san Giuseppe. Nello scorso mese di novembre, il 22, si è celebrato il 1° centenario della nascita di padre David Turoldo.

Che i suoi genitori abbiamo scelto per il battesimo il nome di Giuseppe, mi sembra provvidenziale. 

Il genio poetico di padre Turoldo ha scavato nel tentativo di scoprire le motivazioni di questa singolare vicenda di chiamare Giuseppe ad essere la sua ombra, ha sondato anche i sentimenti del Falegname di Nazareth.  

Questo Dio imprevedibile, come Turoldo chiamava l’agire di Dio, un Dio che spesso ha criteri diversi dalla nostra logica umana. 

 Infatti gli interventi di Dio nella vita del papà terreno di Gesù che non poco hanno inquietato la vita di questi giovane falegname di Nazareth, che si è visto cambiare radicalmente i sogni della sua vita.

Queste burrasche a livello, personale, a livello sociale ed ecclesiale, spesso hanno attraversato anche la vita di padre Turoldo.

Se il nome di Giuseppe significa “colui che aiuta a cresce”, cioè che fa aumentare le risorse, le qualità umane, i talenti che una persona possiede, anche  per padre Turoldo, con i doni della fede e della poesia, il ruolo che Dio gli aveva affidato già dalla nascita era di far crescere la sua vita, e nella sua attività pastorale e poetica arare il campo della chiesa per prepararla all’evento rivoluzionario del concilio Vaticano II.

 Il bambino Giuseppe Turoldo era l’ultimo di nove fratelli, la sua famiglia, lo dice lui stesso, «era la più povera del paese». 

Da adulto, padre David Maria Turoldo dirà di aver sentito questa povertà, tanto simile a quella di Gesù a Betlemme, come «un grande privilegio, perché attraverso la povertà ho imparato tutti i valori della vita - e diceva -: sono convinto se non si torna alla povertà come valore fondamentale della propria esistenza, delle proprie scelte, dell’economia del mondo, della vita stessa della chiesa, se non si mette la povertà davanti a tutto, non si capisce niente, non si riesce a risolvere nessun problema.

 La povertà è valore fondamentale del mondo e, perciò, io mi glorio di essere figlio di povera gente».

 Per chi è scelto di seguire Gesù più da vicino, la povertà è la prima beatitudine che apre il panorama sulla altre beatitudini proclamate da Gesù.

 La povertà di spirito è il grembo nel quale fioriscono tutte le altre virtù cristiane.

Turoldo è stato davanti a Dio come un bambino povero; tutta la sua vita, lo studio, la preghiera, l’azione pastorale sono state un’attesa, un desiderio di vedere, di contemplare e di lodare Dio e così sentire la gioia della redenzione scorrere nelle cor

renti delle beatitudini evangeliche.

I pilastri della spiritualità di Turoldo li possiamo individuare  nel Dio silenzioso che per noi si fa parola.

Il  cardinal Martini ai funerali di padre Turoldo così commemorava l’amico: «padre David, tu ci hai tanto profondamente insegnato a stimare il silenzio, in particolare il silenzio di Gesù: tu ci hai detto stupendoci che la vita di Gesù è stata avvolta più dal silenzio che popolata dalla parola.

L’augurio che il silenzio non sia mai vuoto, ma riempito dal canto degli angeli alla grotta di Betlemme apportatore  di un supplemento di fede.

Il silenzio è necessario affinché risuonino le parole vere, essenziali che danno sapore alla vita

Gesù è un ponte, arcobaleno di pace che congiunge il cielo con la terra e la terra con il cielo e che ci permette di introdurci nella regno di Dio. 

Nello stesso tempo, Gesù ci insegna come camminare su questo ponte come possiamo essere e sentirci figli amati.

Il ponte serve a mettere in comunicazione, ma non possiamo fermarci sul ponte, esso è soltanto uno strumento per arrivare alla meta che è Dio.

Questa figliolanza la troviamo soprattutto nella preghiera.

L’esistenza del cristiano è intimamente collegata e fondata sulla preghiera.

 La preghiera è il respiro della vita. 

Gesù insegnerà un giorno ai suoi discepoli a pregare, dicendo loro: quando pregate dite «Padre». E, naturalmente, non possiamo dirlo solo con una parola, è necessario dirlo con l’esistenza, imparando sempre più a dire con la nostra esistenza la parola: «Padre»; e così saremo veri figli nel Figlio, cioè dei veri cristiani.

Pregare non significa stare tutto il giorno in ginocchio a recitare orazioni, ma pregare, fondamentalmente, significa aver Dio al centro della nostra vita: cuore di nostri progetti, cuore della nostre relazioni, cuore delle nostre azioni: pregare, quindi, è orientare il timone della nostra esistenza verso l’oceano pacificante del regno di Dio che è regno di giustizia, di pace, di fraternità, di comunione e di gioia fraterna. 

A questo punto è interessante e importante notare la risonanza che può aver avuto nei cuori di Maria e Giuseppe sentire dalla bocca di Gesù quella parola «Padre». Sentire dalla sua bocca questa parola con la consapevolezza del Figlio Unigenito, che proprio per questo ha voluto rimanere per tre giorni nel tempio, perché il tempio è la «casa del Padre». Da allora, possiamo immaginare, come la vita nella Santa Famiglia fosse ancora più ricolma di preghiera, perché dal cuore di Gesù fanciullo – e poi adolescente e giovane – non cesserà mai di diffondersi e di riflettersi nei cuori di Maria e di Giuseppe questo senso profondo della relazione con Dio Padre. Questo episodio ci mostra la vera situazione, l'atmosfera dell'essere col Padre. 

La Famiglia di Nazareth è il primo modello della Chiesa in cui, intorno alla presenza di Gesù e grazie alla sua mediazione, si vive tutti la relazione filiale con Dio Padre, che trasforma anche le relazioni interpersonali, umane.

Anche le nostre famiglie sono delle piccole chiese domestiche in cui i genitori sono i ministri della grazia divina; nel giorno della celebrazione del sacramento del matrimonio Dio ha aperto una fonte di grazie e di luce capace di fecondare ed illuminare i giorni della vita sia per la coppia come per i figli.

Certo, una famiglia perfetta è forse difficile trovarla, ma dobbiamo abituarci ad amare la nostra famiglia nella sua interezza: una realtà divina e umana, costruita dallo Spirito e vivente nella carne.

Il papa concludeva la sua catechesi  con queste parole di esortazione: «Nella famiglia i bambini, fin dalla più tenera età, possono imparare a percepire il senso di Dio, grazie all’insegnamento e all’esempio dei genitori: vivere in un'atmosfera segnata dalla presenza di Dio. Un’educazione autenticamente cristiana non può prescindere dall’esperienza della preghiera. Se non si impara a pregare in famiglia, sarà poi difficile riuscire a colmare questo vuoto. E, pertanto, vorrei rivolgere a voi l’invito a riscoprire la bellezza di pregare assieme come famiglia alla scuola della Santa Famiglia di Nazareth. E così divenire realmente un cuor solo e un'anima sola, una vera famiglia».

Preghiera dei figli a san Giuseppe.

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