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25 ottobre 1964: la beatificazione di don Guanella

di Angelo Forti

«Le cose piccole ondeggiano nello spazio grande del cuore; ma solo le grandi cose vi si fermano e prendono dimora». Paolo VI è nel cuore di molti e noi guanelliani abbiamo inciso la sua presenza nell’anima per le molte circostanze che hanno reso gloria al nostro santo fondatore e per i riflessi e la sua sensibilità verso il mondo dei derelitti, i feriti della vita. L’anno successivo alla sua elezione a governare la Chiesa universale, ha regalato ai poveri il carisma di un campione della carità, un’immagine speculare del volto stesso di Cristo, il buon samaritano dell’umanità.

Di origine lombarda, Giovanni Battista Montini ha conosciuto certamente la figura di don Luigi Guanella nei suoi anni giovanili. Quando è morto don Guanella, Montini aveva 18 anni e stava in fase di discernimento per la sua vocazione sacerdotale. Suo padre, uomo impegnato nel giornalismo e nella vita politica ne avrà certamente parlato e scritto. Nel suo entusiasmo giovanile don Guanella, padre dei poveri, certamente lo aveva affascinato e aveva offerto un modello di santità per la sua chiamata al sacerdozio.

Tutta la Chiesa nutre una grande ammirazione per il servo di Dio Paolo VI. Il merito di un uomo che ha guidato la Chiesa durante il Concilio Vaticano II lo scopriranno gli storici, ma la grande portata delle intuizioni conciliari è parte del tessuto della vita quotidiana di ogni credente.

L’opera Don Guanella ha motivi di gratitudine straordinaria prima di tutto per la beatificazione di don Guanella avvenuta sotto il suo pontificato il 25 ottobre 1964, ma già precedentemente nella sua vita di arcivescovo a Milano dove aveva affidato ai guanelliani la parrocchia di San Gaetano in via Mac Mahon durante gli anni passati nel capoluogo lombardo come arcivescovo.

Durante il suo pontificato ha avuto accanto una figura silenziosa e nascosta in don Attilio Beria, guanelliano, come bibliotecario della sua biblioteca personale. Un grande privilegio l’ha riservato all’Opera guanelliana l’8 dicembre 1965 alla chiusura del Concilio, quando ha consegnato il messaggio dei Padri conciliari ad un «ricoverato» nella «cittadella della carità guanelliana» di Roma. «Voi sentite più gravemente il peso della croce, diceva il messaggio, voi che siete poveri ed abbandonati, voi che piangete, voi che siete perseguitati per la giustizia, voi sui quali si tace e siete gli sconosciuti del dolore, riprendete coraggio: voi siete i preferiti del Regno di Dio. […] Sappiate che non siete soli, né abbandonati,né inutili: voi siete chiamati ad essere l’immagine trasparente di Cristo».

Ma c’è un motivo particolare per cui celebriamo i cinquanta’anni della elezione papa Montini a governare la Chiesa di Cristo, è il fatto che Paolo VI ha iscritto il nome di don Luigi Guanella nell’elenco dei beati.Ma il motivo particolare per celebrare i cinquanta anni della sua elezione è la canonizzazione del Beato Luigi Guanella.

In quella circostanza Paolo VI ha tracciato un profilo della vita del nuovo beato ed è rimasto nella memoria collettiva “il bandolo” di una matassa di bene compiuto appunto da don Guanella. Il bandolo con cui don Luigi ha costruito un mondo di bene era costituito dall’essere davvero un servo della carità, un servo della carne di Gesù risorto presente nella carne dei poveri. In ogni sua iniziativa ripeteva come un ritornello “è Dio che fa. È Dio che fa”. L’origine dell’amore, infatti, è in Dio. Quando noi ci allontaniamo dallo scroscio di questa sorgente, perdiamo il senso del nostro agire, si affievolisce la perseveranza nel compiere il bene nei confronti del prossimo e corriamo il rischio di cadere nella presunzione di essere noi stessi “la fonte della giustizia verso il prossimo”.

Don Guanella aveva la consapevolezza di essere un artigiano dell’amore al servizio dei sofferenti in modo che anche il gemito del soffrire uscisse come eco singhiozzante di una benedizione. L’anima di ogni progetto di san Luigi Guanella era la testimonianza della carità di Dio che ci ama da sempre. Egli, come il vento che gonfia le vele, spinge l’imbarcazione della nostra vita per soccorrere i naufraghi della vita.

Papa Francesco parlando ai preti di Roma ha detto che è necessario che un prete porti nella sua vita “l’odore delle pecore”. Questo “odore” significa avere esperienza dell’amaro sapore delle lacrime, la gioia liberante di un sorriso condiviso, l’uscita dalla desolazione e dalla solitudine ed essere compagni autentici degli orfani di affetto e di stima.

Il giorno precedente alla beatificazione, Paolo VI aveva proclamato San Benedetto Patrono di tutta l’Europa, additandolo come un «annunciatore di pace», una pace che ha il suo fondamento nell’essenziale binario della vita cristiana: «Ora et labora». La preghiera e il lavoro strumenti di un rapporto pacificante dell’uomo con Dio e delle persone tra di loro. Lo slogan che don Guanella ha lasciato in eredità ai seguaci del suo carisma è: «Pregare e patire». II pregare è l’attuazione della consapevolezza quotidiana che è «Dio che fa» e il «patire» sono le braccia animate dalla fede, che lavorano per eliminare, dove è possibile, le cause del male e donare a tutti motivi di speranza che hanno le radici nella condivisione animata da una luminosa e trasfigurante compassione.

Paolo VI terminava il suo intervento nel giorno della canonizzazione con queste testuali parole: «l’aspetto sociale del beato meriterebbe qui il suo vero panegirico; ma questo lo fanno i suoi figli e i suoi ammiratori; lo fanno, con l’eloquenza dei fatti e delle cifre, le sue opere. A noi basta raccogliere il primo filo di tutta codesta meravigliosa storia della carità operante in misericordia; e trovarlo, quel filo, annodato al suo punto di partenza, come alla sorgente dell’energia soprannaturale che tutto lo percorre: “è Dio che fa!” Non è bello? Non è stupendo?».

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