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di Gabriele Cantaluppi

Il prossimo 15 maggio papa Francesco proclamerà sette nuovi santi. È un avvenimento a cui vogliamo prestare attenzione perché i santi sono una luce per la Chiesa. A partire da questo numero la Santa Crociata offrirà brevi ritratti di ciascuno di questi candidati alla Canonizzazione.

Don Luigi Maria Palazzolo, appena sacerdote nel 1850, volse subito l’attenzione verso un quartiere povero di Bergamo nella zona di via Foppa, organizzando il tempo libero dei ragazzi. Poiché la vera promozione sociale passa attraverso l’istruzione, istituì delle scuole serali per giovani e adulti: la sua opera educativa e la formazione religiosa furono tanto efficaci che una quarantina di giovani dell’Oratorio scelsero di diventare sacerdoti.

Per condividere maggiormente la vita dei poveri, don Luigi scelse di abbandonare la casa dove fino allora aveva abitato e inaugurò la sede del nuovo Oratorio, ponendolo sotto la protezione di San Filippo Neri, suo modello di educatore. Col suo carattere gioviale, trasmetteva a tutti grande allegria, ma nel cuore nascondeva una forza d’animo e una tenacia, riflesso di quella fortezza che è dono dello Spirito Santo. Nessuno immaginava che la sua attività era preparata da una lunga preghiera e da un’aspra penitenza fino a portare il cilicio.

Con grande umiltà, per ogni nuova svolta della sua vita e del suo apostolato, chiedeva consiglio al direttore spirituale, con cui intrattenne anche uno scambio epistolare dal quale emerge più volte il valore che dava all’obbedienza.

L’apostolato tra le ragazze

Ascoltando le confessioni delle donne, prese coscienza di doversi occupare anche delle bambine e ragazze abbandonate. In quegli anni in gran parte del nord Italia era già avviata l’Opera di Santa Dorotea, un gruppo laicale attento all’educazione cristiana di bambine e fanciulle. Don Luigi si impegnò a promuoverla e il giorno dell’Epifania del 1864 l’iniziativa fu completata dalla fondazione di un Oratorio femminile nella vecchia casa di via della Foppa.   Purtroppo però era aperto solo la domenica, mentre quello maschile tutti i giorni della settimana. Ciò preoccupava don Luigi perché le ragazze nei giorni feriali non avevano alcun sostegno educativo e correvano anche rischi di tipo morale. Era necessaria una comunità femminile, che li prendesse in cura in modo costante.

Nel 1869 individuò in Teresa Gabrieli la persona che cercava. Don Luigi celebrò la Messa e al termine Teresa e altre due compagne si recarono nella casetta di via della Foppa: dinanzi ad un quadro dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria, Teresa pronunciò i tre voti religiosi, cui aggiunse altre due promesse speciali: quella di fedeltà al Papa (erano gli anni della “questione romana”) e di incondizionata dedizione ai poveri, specialmente tra la gioventù. Alle prime suore se ne aggiunsero altre. Don Luigi nel frattempo stendeva le prime Costituzioni delle sue “Suore delle Poverelle”.

Significative le parole da lui stesso usate per caratterizzarle: «Le Suore delle Poverelle siano persuase che per questa vita dovranno avvolgersi continuamente tra i poveri, adoperarsi per i poveri, amare i poveri. Ogni suora delle Poverelle preghi Dio che le conceda spirito di madre verso i poveri». Raccomandava loro: «Trattiamo bene le orfanelle e Dio ci aiuterà. Esse si possono trattare bene anche senza mancare al voto di povertà. Sono immagini di Gesù Cristo». Ad una superiora, fece anche questa raccomandazione: «Non risparmiare spese per le mie orfanelle; ti darò un buon castigo se troverò che hai speso poco». Diceva abitualmente che bisognava «fare il bene in grande», lungi da ogni spirito di grettezza e di pedanteria. Ad una suora che aveva rifiutato un po’ di uva ad una povera donna con il pretesto che non bastava per gli orfani, impose di portargliene una cesta dicendo: «Quando i poveri domandano qualcosa, devi dare subito, anche la casa».

Umile, fiducioso: per «giungere in alto»

Don Luigi aveva un fisico esile, che gli valse il soprannome di “Palazzolino”, a cui faceva da contraltare un carattere tenace. Spesso si sottoponeva ad aspre penitenze corporali, come il digiuno a pane e acqua. Non voleva essere considerato il fondatore, per umiltà, ma di fatto lo era; consigliava in continuità le suore sia di persona sia per iscritto, anche se a volte con espressioni dialettali o sgrammaticate, e infondeva sempre una grande fiducia nella Provvidenza, oltre che sollecitare con ottimismo la collaborazione e solidarietà degli uomini.

«Non dobbiamo aspettare gli gnocchi dalla luna», scrisse. «S. Ignazio ci insegna a fare di tutto noi per riparare le traversie come se toccasse solo a noi fare tutto, e poi, quando abbiamo fatto tutto quello che possiamo, aspettare da Dio tutto, come se non avessimo fatto niente e solo a lui spettasse il cavarci da ogni angustia, come è di fatto. In breve fare tutto ciò che possiamo dal canto nostro, e poi confidare tutto in Dio».

La sua missione è stata chiaramente espressa da lui stesso in questi termini: «Io cerco e raccolgo il rifiuto degli altri, perché dove altri provvede lo fa assai meglio di quello che faccio io, ma dove altri non può giungere cerco di fare qualcosa io come posso». Portava avanti queste opere tenendo ferme alcune virtù: «Occorre umiltà e semplicità. L’umiltà toglie ogni timore e invita chiunque ha bisogno ad entrare… La semplicità dà ai poveri sicurezza ad aprire il cuore e versare tutte le loro amarezze». Scriveva ancora alle suore: «Vi metto nei cuori di Gesù e Maria, e vorrei chiudervi dentro a chiave, da poter proprio respirare e mangiare e bere umiltà e così crescere umili».

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