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di Gabriele Cantaluppi

Quel giorno di fine ottobre del 1886 il ventottenne sottotenente Charles de Foucauld che varcava la porta della chiesa di Sant’Agostino a Parigi non si accorgeva della splendida e maestosa architettura eclettica romanico-rinascimentale dell’edificio, intento com’era a cercare ragione in se stesso dei profondi interrogativi che lo assillavano.

Due anni prima, rientrato in Francia da una esplorazione scientifica in Marocco, dove era rimasto colpito dalla fede dei musulmani, aveva confessato: «La vista di queste persone che vivono alla continua presenza di Dio, mi ha fatto intravvedere qualcosa di più grande e di più vero delle occupazioni mondane».

L’incredulità aveva lasciato spazio al dubbio e alla ricerca: si rendeva conto a poco a poco che Dio non è un’idea da conquistare ma una persona da incontrare… «Mio Dio, se esisti, fa’ che ti conosca». Quando uscì da quel tempio non era più la stessa persona: inginocchiato nel confessionale era trasformato dalla grazia. 

Nei suoi scritti, ricorda di aver detto all’abbé Henri Huvelin che non era venuto a confessarsi, ma che auspicava dei chiarimenti sulla religione cattolica. Invece, «facendomi entrare nel suo confessionale, mi avete dato tutti i beni, mio Dio; se c’è della gioia nel cielo alla vista di un peccatore che si converte, ce n’è stata quando sono entrato in quel confessionale».

Fino a quel momento, e per dodici anni, era rimasto «senza negare niente e senza credere niente, disperando della verità, e non credendo neanche in Dio, non sembrandomi nessuna prova abbastanza evidente», lui che nell’infanzia era stato abituato ad una educazione cattolica gesuita.

Era nato a Strasburgo, allora in territorio tedesco, il 15 settembre 1858 e la madre l’aveva educato in maniera seria e religiosa, ma era morta quando lui era quasi sessenne. L’anno successivo fu la volta del padre, da tempo affetto da una malattia mentale. Se ne prese cura il nonno materno, un colonnello in pensione che,  con l’annessione dell’Alsazia alla Germania, seguita alla guerra del 1870, scelse di prendere la nazionalità francese e si trasferì a Nancy.

Continuò gli studi in quella città, senza mai applicarsi troppo. Ricevette la prima comunione e la cresima, ma poi, verso il 1874, perse la fede. Il suo non fu anticlericalismo, piuttosto una crisi religiosa che segnò il distacco dall’atteggiamento credente dell’infanzia. Riconoscerà che l’origine principale di questo atteggiamento fu la frequentazione di una letteratura del secolo dei Lumi, in cui la religione, nei suoi dogmi e nei suoi ministri, era ridicolizzata e messa in discussione. 

Appena ventenne fu espulso dalla scuola di preparazione per l’accademia militare di Saint-Cyr per «disciplina aggravata da cattiva condotta». Riuscì comunque a vincere il concorso, per non dispiacere il nonno. Alla morte di quest’ultimo, nel febbraio 1878, ereditò i suoi beni e, annoiato dalla vita militare, si divertiva invece organizzando cene raffinate e frequentando l’alta società. Intanto passò alla scuola di Cavalleria a Saumur, dove divenne sottotenente, sebbene ultimo nell’elenco dei promossi. La sua passione per i viaggi lo indusse a esplorare clandestinamente una zona sconosciuta del Marocco, meritando una medaglia d’oro dalla Società di Geografia di Parigi.

In una meditazione dell’8 novembre 1897 rilegge la sua vita passata: «ogni bene, ogni buon sentimento, ogni buona apparenza, sembrano essere radicalmente spariti dalla mia anima: restano solo l’egoismo, la sensualità, l’orgoglio e i vizi che fanno loro corteo. Mio Dio, perdono! Perdono! Perdono!». Da quel momento: «Appena ho creduto che Dio esiste ho capito che non avrei potuto fare altro che vivere solo per lui». Tornato in patria, entrò nella Trappa Notre-Dame des Neiges e venne poi mandato in quella di Akbès, in Siria. Si accorgeva però che nella Trappa non era possibile «condurre la vita di povertà, di abiezione, di distacco effettivo, di umiltà, direi anche di raccoglimento di Nostro Signore a Nazaret. Io agogno Nazaret». Lasciò così la Trappa e nel 1897 partì per la Terrasanta, vivendo per tre anni a Nazaret all’ombra del monastero delle Clarisse, in una capanna-eremo: «Ho voglia di condurre la vita che ho intravisto, percepito camminando per le vie di Nazaret, dove Nostro Signore, povero artigiano perso nell’umiltà e nell’oscurità, ha appoggiato i piedi». Questa struttura in seguito, dal 1975, su invito dalla Custodia di Terra Santa, è stata affidata a noi padri guanelliani. Adesso è sede della Holy Family School, struttura riabilitativa che ogni giorno accoglie 140 ragazzi disabili.

Ordinato prete nella diocesi di Viviers, scoprì il nesso fra «sacramento dell’altare» e «sacramento del fratello»: già prima dell’ordinazione aveva chiesto la possibilità di vivere il sacerdozio nel Sahara algerino e testimoniare l’amore di Gesù «non con la parola ma con la bontà».Si stabilì nel Sahara algerino, «tra le pecore più perdute, le più abbandonate». Scriveva in quei giorni: «Dalle 4.30 del mattino alle 20.30 della sera, non smetto di parlare, di vedere gente: schiavi, poveri, ammalati, soldati, viaggiatori, curiosi. […] Voglio abituare tutti gli abitanti della terra a considerarmi come loro fratello, il fratello universale». Qualche anno dopo decise di trasferirsi più a sud, fra i Tuareg, a Tamanrasset, «dove non ci sono né guarnigione, né telegrafo, né europeo».

Il suo tempo era diviso tra la preghiera, le relazioni con gli indigeni, che aiutava e sosteneva in molti modi, e gli studi della lingua tuareg: redasse anche un dizionario tuareg-francese. Passava lunghe ore in silenzio adorante davanti all’Eucarestia, aprendo però a chiunque bussava, soprattutto i più miserabili, gli schiavi e riscattandone alcuni.

Poi si ammalò: «qualcosa al cuore» scriveva: la sua vita diventò sospesa e tutto dipendeva dal cuore buono dei suoi amici: «I Tuareg hanno cercato tutte le capre che ci sono in un raggio di quattro chilometri per darmi un po’ di latte».

Pur di restare con loro, accettò di non celebrare la messa quando non c’erano cristiani presenti e per anni soffrì di non poter neppure conservare l’Eucarestia: diventerà lui stesso Pane spezzato! 

Il 1° dicembre 1916, verso sera, stava lavorando come suo solito, ma sentì bussare alla porta: era El Madani, un uomo che spesso aveva beneficato. Gli aprì tranquillamente, ma fu subito trascinato fuori e legato, mani e piedi insieme, con redini di cammello; intanto altri uomini, si diedero al saccheggio dell’abitazione.

All’improvviso, il rumore dell’arrivo di alcuni soldati a dorso di dromedario, venuti a ritirare la posta, mise in agitazione il ragazzo, sui quindici anni, che l’aveva in custodia: gli partì un colpo di fucile e l’ostaggio cadde a terra. Era il primo venerdì del mese.

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