Generazioni a confronto
di Rosanna Virgili
Capita spesso di sentir dire, specialmente da parte di persone adulte ma anche dai giovani, che i padri di una volta erano migliori di quelli di adesso. Sarà vero?
Consiglio di ascoltare le ragioni che vengono addotte più frequentemente. La prima è che i padri di una volta fossero più responsabili verso la famiglia, in quanto provvedevano ai bisogni della casa e dedicavano tutto il tempo al lavoro al fine di aprire migliori orizzonti davanti agli occhi dei figli. Sembra che i padri di oggi, invece, prendano volentieri del tempo anche per sé, per la cura dei propri interessi, e che il peso di tanta parte della famiglia ricada più sulle spalle delle madri che sulle loro.
Questo comportamento irrita molto i figli, che sono pronti a rinfacciare con rabbia tutto ciò, denunciando l’impegno gravoso delle madri. Una seconda ragione, ancor più patente, è relativa al ruolo dei padri: una volta essi insegnavano e imponevano delle norme etiche ai loro figli, educandoli non solo a pretendere diritti ma anche ad assumere doveri verso il prossimo, con rigore e coerenza, mentre oggi non sono più capaci nemmeno di stabilire le regole più elementari della convivenza sociale. E colpisce constatare che sempre più spesso siano proprio gli adolescenti a rimproverare ai loro padri qualche sregolatezza dello stile di vita, che apre ferite dolorose e dannose sulla vita familiare e individuale. Ma cosa possiamo trovare nella Bibbia a proposito del confronto tra generazioni?
Padri migliori…
Come accade per ogni argomento, la Bibbia invita il lettore a una riflessione profonda, articolata, il meno superficiale possibile, sulla differenza tra i padri “antichi” e i padri "nuovi". Ed ecco alcuni esempi tratti dallo stesso libro, quello di Geremia. Nel primo il profeta lancia un oracolo di condanna contro il re Ioiakim, apostrofandolo: «Guai a chi costruisce la sua casa senza giustizia e i suoi piani superiori senza equità, fa lavorare il prossimo per niente, senza dargli il salario e dice: "Mi costruirò una casa grande con vasti saloni ai piani superiori" e vi apre finestre e la riveste di tavolati di cedro e la dipinge di rosso» (22,13-14). L’accusa colpisce l’avidità del re Ioiakim insieme alla sua vanità, alla passione per la ricchezza e all’ostentazione del lusso che egli fa pagare col sudore agli operai sfruttati e privati del debito salario. È un egoismo che genera frutti di ingiustizia e offende Dio stesso per la violazione di quanto è scritto nel Vangelo: «Chi lavora ha diritto alla sua ricompensa» (Lc 10,7). Ed ecco che Geremia propone a Ioiakim un paragone con il padre – Giosia - che, prima di lui, era stato sul trono: «Pensi di essere un re perché ostenti passione per il cedro? Forse tuo padre non mangiava e beveva? Ma egli praticava il diritto e la giustizia e tutto andava bene, tutelava la casa del povero e del misero e tutto andava bene (…). Invece i tuoi occhi e il tuo cuore non badano che al tuo interesse, a spargere sangue innocente, a commettere violenze e angherie”» (22,15-17). A paragone con l’auto-centramento e la malvagità di Ioiakim, Geremia richiama la figura di suo padre che brilla di una luce immensa da cui, purtroppo, il figlio non è stato illuminato. Egli era, infatti, sobrio, giusto e padre per tutti i giudei a cominciare dai più poveri. Anteponeva il loro interesse al proprio, il bene della sua gente all’arricchimento - a spese della stessa - della propria famiglia di sangue. Quello che viene dipinto è il ritratto di un padre che poteva davvero dirsi tale per il suo amore al diritto e alla giustizia, per il suo servizio politico e sociale, e il suo cuore umile e generoso. Un caso in cui i vecchi padri sono presentati come affatto migliori a quello che saranno i loro figli.
… ma anche no!
Ma non tutti i padri di una volta erano perfetti. All’inizio del suo libro, infatti, Geremia parla di padri che sono ben diversi dal re Giosia. E lo fa con profonda tristezza, rivolgendosi ancora una volta alla generazione attuale con la parola che viene da Dio: «Quale ingiustizia trovarono in me i vostri padri per allontanarsi da me e correre dietro al nulla, diventando loro stesso nullità? Non si domandarono: "Dov’è il Signore che ci fece uscire dall’Egitto e ci guidò nel deserto, terra di steppe e di frane, terra arida e tenebrosa, terra che nessuno attraversa e dove nessuno dimora?". Io vi ho condotti in una terra che è un giardino, perché ne mangiaste i frutti e i prodotti ma voi, appena entrati, avete contaminato la mia terra e avete reso una vergogna la mia eredità»(2,5-7). Il riferimento è alla generazione dell’Esodo, quella che Dio consegnò a Mosè perché la liberasse dalla schiavitù e la conducesse nel paese della libertà, nella terra promessa. Ma i “padri” del popolo eletto furono ingrati nei confronti del loro Dio. Non compresero quanto egli avesse fatto per loro, non si accorsero di come il suo fosse un amore e una cura che nessun altro gli avrebbe mai potuto assicurare. Quei padri si comportarono, insomma, come ragazzi immaturi e irriconoscenti; per questo piene di malinconia sono ancora le parole del Signore su di loro: «Due sono le colpe che ha commesso il mio popolo: ha abbandonato me, sorgente d’acqua viva e si è scavato cisterne, cisterne piene di crepe che non trattengono acqua». Anche i padri di una volta, insomma, anche i padri descritti nella Bibbia erano, spesso, incapaci non solo di essere buoni padri per i loro figli ma anche di essere buoni esseri umani. E ciò accadeva quando abbandonavano Dio, il loro alleato, il loro Padre esemplare.