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Trasmissione di Radio Mater condotta da don Mario Carrera, ogni 1° mercoledì del mese

La casa di Nazareth è sempre una casa accogliete dove ci si trova in famiglia, dove si impara a stare insieme, a stimarsi, ad amarsi e ad affrontare tre insieme le difficoltà della vita.

Questa sera ho davanti agli occhi il volto delle persone che ci stanno ascoltando, noto gioia nel loro sguardo luminoso e soddisfatto, ma avverto il singhiozzare delle persone depresse, persone che hanno perso la serenità a causa della malattia, persone angustiate che hanno perso il lavoro o che lo stanno cercando invano.

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E siamo qui per cercare conforto, aiuto, speranza per illuminare l’orizzonte della nostra vita.  Non dimentichiamo che per la nostra vita la speranza è necessaria come il respiro, perché la speranza ci permette di vedere i frutti di un seme che i nostri occhi di carne hanno visto marcire.

Con un’affettuosa carezza sul volto dei bambini, degli ammalati e  uno sguardo carico di partecipazione al disagio delle persone sole e non si sentono amate da nessuno, vogliamo iniziare questa riflessione  creando un clima di partecipazione e di affetto reciproco, raccontando questo episodio.

Il papà di un bambino ebreo – il bambino poi diventerà un celebre rabbino-, si lamentava della pigrizia di questo figlio nell’applicazione allo studio. Allora, nella città dove abitavano, giunse un rabbino .

Il padre allora condusse suo figlio, di nome Mardocheo, perché il rabbino lo correggesse.  Il rabbino volle rimanere solo col ragazzo, lo strinse al cuore e se lo tenne a lungo, affettuosamente vicino. Quando il padre ritornò, il rabbino gli disse: «Ho fatto a Mardocheo un po' di morale; d'ora in poi la costanza non gli mancherà».

Ormai adulto e famoso, Mardocheo  divenne un rabbino nella sua città e  raccontava questo episodio, diceva: «Ho imparato allora come si convertono gli uomini».

Nella sua semplicità e spontaneità è bello questo apologo che ci suggerisce che la correzione senza amore è sterile.

La ribellione spesso nasce nei figli non per mancanza di cure, di benessere, di doni, ma per assenza di vicinanza, di ascolto, di affetto profondo.

I ragazzi ai nostri giorni sono coperti di cose, di atti, di premure materiali, di attenzioni alla loro salute e ai loro desideri immediati.

Diventa sempre più raro che un genitore sappia dialogare col figlio, sappia stringerselo (soprattutto spiritualmente) al petto, così da far sbocciare la confidenza. Don Guanella spesso ripeteva nei suoi progetti educativi che «l’educazione è un affare di cuore». Se non si arriva al cuore della persona le nostre parola sono vento, pioggia sull’asfalto.

Educare e guidare fanno parte di un dono prezioso da im­plorare a Dio, sono un'arte difficile. Anche il bambino merita rispetto e capacità di comprensione.

Certe volte l'eccesso di concessioni esteriori è segno dell'in­capacità del genitore di stabilire un legame più autentico e profondo col figlio.

Si preferisce accontentarlo più che capirlo; si preferisce ve­derlo soddisfatto e sazio esteriormente più che cogliere i suoi interrogativi e le sue insoddisfazioni interiori.

L'immagine del rabbino che stringe al cuore il giovane Mardocheo in filigrana lascia trasparire un altro profilo, quello tratteggiato dal Salmo 103: «Buono e pietoso è il Signore. lento all'ira e grande nell'amore... Come un padre prova tene­rezza per i suoi figli, così fa il Signore con quanti credono in lui»

Ancora i vescovi italiano nel documento «Educare alla vita buona del vangelo» hanno suggerito che alla base di ogni nostro cammino educativo ci devono essere relazioni aperte all’ascolto, alla gratitudine, alla stabilità dei legami e questo significa  specificatamente:

1- cogliere il desiderio di relazioni profonde che abita il cuore di ogni persona,

2- porre al centro della proposta pedagogica il dono dell’offerta educativa come compimento della soddisfacente maturazione della persona,

3- far emergere la forza educativa della fede che realizza la pienezza della comunione con Cristo.      

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