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di Angelo Sceppacerca

Le famiglie fondate sul matrimonio offrono alla società beni essenziali attraverso la generazione dei nuovi cittadini e l’incremento delle virtù sociali

In più di un secolo (dal 1907, con alcuni periodi di interruzione) i cattolici italiani hanno mostrato, in questi appuntamenti che vedono raccolti i delegati scelti in tutte le diocesi italiane (quest’anno sono oltre 1300), tutta la loro premura e il contributo effettivo da loro portato alla società italiana: una collaborazione imprescindibile, che ha fatto da trama e da fondamento alla nostra società. E la famiglia? C’entra, eccome, perché il bene della famiglia semplicemente combacia con quello comune, perché la salute della società coincide con quella della famiglia. Vale per la società e vale per la Chiesa. Una parola fra tante di Giovanni Paolo II, il Papa della famiglia: “La famiglia resta una priorità e la più importante sollecitudine della vita e del ministero della Chiesa. Come va la famiglia, così va la Chiesa, e così va la società umana nel suo insieme” (Angelus, 5.10.1997).
Anche Papa Benedetto attribuisce una importanza decisiva alla famiglia. “Quella medesima sollecitudine per l’uomo che ci spinge ad essere vicini ai poveri, agli ammalati, ci rende attenti a quel fondamentale bene umano che è la famiglia fondata sul matrimonio. Oggi il matrimonio e la famiglia hanno bisogno di essere meglio compresi nel loro intrinseco valore e nelle loro autentiche motivazioni, e a tal fine è grande e deve crescere ulteriormente l’impegno pastorale della Chiesa. Ma è ugualmente necessaria una politica della famiglia e per la famiglia” (Discorso agli amministratori della Regione Lazio e del Comune e della Provincia di Roma, 11.1.2007).
Non tutto va liscio, però, a cominciare dal concetto di famiglia. Per i cattolici la famiglia nasce dal matrimonio fra un uomo e una donna ed è aperta alla vita; questa è la struttura antropologica fondamentale dell’essere umano, anche nei tempi – come questo – in cui a crollare sono proprio i muri “di sotto”, i fondamenti. Si comprende come la famiglia è essenziale alla società, perché ne è la base, ed è anche la medicina per guarire dalla frammentazione che la sta disgregando. è un circolo perverso: colpire la famiglia è ferire la società.

Una crisi sotto gli occhi di tutti

Nella cultura dominante si è affermato un processo di privatizzazione della famiglia, considerata soprattutto come luogo di gratificazione affettiva, sentimentale e sessuale degli adulti. Viene pubblicizzato come ideale di vita il benessere individuale, gettando discredito sui legami stabili del matrimonio e della genitorialità, promuovendo l’esercizio puramente ludico della sessualità.
Non si tiene conto dell’importanza del rapporto stabile di coppia e del bene prioritario che sono i bambini.
Si percepisce la famiglia non come una piccola comunità, soggetto di diritti e di doveri, ma come una somma di individui che abitano temporaneamente sotto lo stesso tetto per convergenza di interessi; non come una risorsa per la società da valorizzare, ma come un insieme di bisogni e desideri individuali a cui provvedere secondo le possibilità. è in questo contesto che assume proporzioni sempre più preoccupanti la triplice crisi del matrimonio, della natalità e dell’educazione.
Alla crisi del matrimonio, della natalità e dell’educazione corrisponde la crisi della società europea, che appare piuttosto stanca e decadente. L’opinione pubblica è sensibile soprattutto al mercato e ai diritti individuali. Mancano ideali, speranze, progetti condivisi. Mancano la gioia di vivere e la fiducia verso il futuro. Con il progressivo invecchiamento della popolazione si prospettano anche gravi problemi economici: diminuiranno le forze produttive e aumenteranno le spese per le pensioni, la sanità e l’assistenza, dato che nel 2050 per ogni 100 lavoratori ci saranno 75 pensionati e ogni lavoratore dovrà provvedere a circa ⅔ del sostentamento di un pensionato.
Le famiglie fondate sul matrimonio offrono alla società beni essenziali attraverso la generazione dei nuovi cittadini e l’incremento delle virtù sociali. Perciò hanno diritto a un adeguato riconoscimento culturale, giuridico, economico.
Trenta anni fa Giovanni Paolo II lanciava questo appello: “Le famiglie devono essere le prime a far sì che le leggi e le istituzioni dello Stato non solo non danneggino, ma sostengano e difendano positivamente i diritti e i doveri delle famiglie. In questo senso devono crescere nella consapevolezza di essere protagoniste della cosiddetta politica familiare e assumersi la responsabilità di trasformare la società; altrimenti le famiglie saranno le prime vittime di quei mali che si sono limitate ad osservare con indifferenza” (Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, 44).
A cosa servono le settimane sociali dei cattolici italiani? Risponde Mons. Miglio, presidente del Comitato preparatore: “Le settimane sociali sono chiamate a offrire alla cultura, agli studiosi e agli operatori sociali, occasioni di confronto e di approfondimento per capire meglio cosa sta avvenendo e quali saranno gli esiti delle scelte fatte – o non fatte – finora, ma soprattutto per individuare le scelte necessarie per la crescita di un Paese e della società in generale”.

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