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di Michele Gatta

Le parole sono importanti! Eccome se sono importanti! Soprattutto quando indicano delle scelte e rintracciano i segni indelebili di una memoria collettiva. Ora il rischio che all’improvviso si voglia mettere un tratto rosso sulle parole diventa sempre più probabile. Tutto questo a volte per affermare sani principi universali che però nella modernità possono diventare “dittature” comunicative. è quello che si rischia con la parola “Natale”. Non ci riferiamo a qualche battaglia storica che potrebbe provocare ancora oggi delle spaccature culturali, sociali e religiose. Ma ad un documento di qualche mese fa.

Nel novembre scorso, intervenendo ad una conferenza su «Valori cristiani e futuro dell’Europa», il card. Hollerich ha fatto riferimento alla lettera che papa Francesco ha inviato in occasione del 40° Anniversario della Comece (Commissione delle conferenze episcopali della Comunità Europea); in essa il Santo Padre parla dei “suoi sogni per l’Europa”. Sognare – spiegava il porporato – «è diverso dall’avere un’illusione o, peggio, un delirio; un vero sogno ci indirizza verso un futuro migliore e ci dà energia e orientamento per realizzarlo».

Nel frattempo, a fine ottobre era uscito un documento della Commissione europea dove si consigliava ai funzionari della stessa Commissione (ma visibile a tutti su Internet) l’uso di un linguaggio inclusivo, cioè non discriminatorio, nei documenti ufficiali. Era una guida ad uso interno, insomma.

Il documento si intitolava «Linee guida della Commissione europea per la comunicazione inclusiva – #UnionOfEquality». Era composto da 32 pagine e suddiviso in vari capitoli. A leggerlo si trovano anche tanti consigli utili e assolutamente da tener presente.

Il caso del Natale viene precisato nel capitolo «Culture, stili di vita o credenze». Qui il consiglio è di non «dare per scontato che tutti siano cristiani perché tutti celebrano le feste cristiane, e non tutti i cristiani le celebrano nelle stesse date». L’invito era quindi quello di mostrarsi «sensibili al fatto che le persone hanno diverse tradizioni religiose e calendari». E si faceva un esempio: invece di parlare di «periodo natalizio» meglio usare l’espressione «periodo di festività». E quando si scelgono dei nomi propri, per fare degli esempi, si suggeriva di non usare solo nomi di origine cristiana, come «Maria e Giovanni». Questi i fatti.

Vogliamo credere alla buona fede, ma volendo difendere l’inclusione si rischia di favorire l’esclusione. Adombrando anche il sospetto che il pregiudizio antireligioso abbia caratterizzato alcuni passaggi della bozza.

Il documento, mentre scriviamo, è stato ritirato. La cosa strana è che, con l’idea di essere al passo con i tempi, si sia finiti per arretrare sulle stesse conquiste della modernità. Perché vorremmo avvertire che le società europee odierne si caratterizzano per la loro multiculturalità e la loro multireligiosità. La risposta alla presenza della religione cristiana come maggioranza non può essere quella di relegarla. Non si può togliere una colonna della cultura europea; cadrebbe tutta la casa. L’inclusività, forse più che neutralità, sarà il tentativo di favorire tutti, di alimentare la conoscenza reciproca. Altrimenti dovremmo tornare alla “festa della luce” di romana e pagana memoria. Mettendo così un tratto rosso su duemila anni di storia, che è storia dell’Europa. Ecco, volevamo semplicemente dire che alcuni passaggi moderni del documento sono anacronistici.

E allora torniamo ad ottobre, al sogno di papa Francesco. Il quale sogna un’Europa «che è famiglia e comunità», dove Dio e Cesare restano distinti ma non contrapposti: «una terra aperta alla trascendenza».

 

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