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La presentazione di Gesù al tempio: quarto mistero gaudioso

di Ottavio De Bertolis

In questo quadro che contempliamo si incontrano l’Antico Testamento (il sacerdote Simeone, che riceve Gesù dalle braccia di Maria e benedice Dio) e il Nuovo (il nuovo popolo della nuova alleanza, rappresentato da Maria e da Giuseppe, la figlia di Sion e il giusto per eccellenza): elemento di unione e di incontro è la persona di Gesù, il vero e nuovo consacrato, che sostituisce l’antica consacrazione dei primogeniti, e fa di tutti noi i veri primogeniti, figli di Dio per adozione, come Gesù lo è per natura. 
Simeone e Anna sono definiti “giusti”, il che è la massima lode che l’Antico Testamento può fare: tuttavia sono sterili, proprio come l’osservanza della legge (quella mosaica, ma anche quella della Chiesa) può esserlo, quando non è nata dall’amore e quando non genera amore. Rappresentano appunto la Legge, che, come direbbe San Paolo, indica quel che dobbiamo fare, ma non ci dà la forza di farlo e in tal modo ci rinchiude nella nostra ingiustizia. Gesù rappresenta, ed è Lui stesso, la grazia, l’amore che ci viene offerto dal Padre non perché ce lo “meritiamo”, cioè appunto per meriti acquisiti per l’osservanza della legge, ma perché ne abbiamo bisogno, perché senza di Lui non potremmo diventare giusti. Infatti siamo “fatti giusti”, o, sempre con le parole di San Paolo, “giustificati”, non dalle opere, ma per mezzo della fede, poiché in Lui abbiamo creduto. Ecco perché in questo mistero impariamo anche noi, come il vecchio Simeone, a prendere tra le braccia il bambino, cioè a ricevere Gesù da Maria, e a benedire Dio, perché non siamo più sotto la legge, che ci inchiodava alla nostra colpa, alla nostra incapacità di osservarla, ma siamo stati fatti “familiari di Dio e concittadini dei santi”, non più semplici servi o estranei, cioè vicini a Dio a condizione che lo meritiamo, ma figli amati, così come siamo, lì dove siamo: infatti “non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ci ha amato per primo”, come dice l’evangelista Giovanni. E questo ci rende fecondi, ci fa uscire dalla nostra sterilità, cioè dalla nostra incapacità di amare Dio: “l’amore perfetto vince il timore”, continua Giovanni, e così “noi amiamo perché Lui ci ha amato per primo”. E il compimento della legge è l’amore: in tal modo, la legge non è abolita, ma superata, in una logica più grande, liberante e capace di trasformarci.
Possiamo anche pregare, quando contempliamo questo mistero, per ricevere lo Spirito Santo e avere la luce di interpretare e comprendere rettamente la Parola di Dio che ci è consegnata; come Simeone ha visto la gloria tremenda del Dio di Israele in quel piccolo bambino che una madre gli deponeva tra le braccia, così non dobbiamo dimenticare che tutte le espressioni della Scrittura trovano la loro vera spiegazione e attuazione in Gesù, nella sua vita, morte e risurrezione. Possiamo, ogni volta che leggiamo i salmi, ad esempio, chiedere a Maria che ci consegni il suo figlio, che ci doni di capire le parole che leggiamo come sono state chiarite e spiegate dalla vita del figlio: la gloria, la potenza, la maestà di Dio sono infatti la sua piccolezza, il suo nascondimento, il suo farsi prossimo ai peccatori e ai poveri, provati nel corpo e nello spirito. Gesù rivela il Padre non solo in quel che ha detto o ha fatto, ma anche nella sua divina Persona: specialmente nella sua Passione. 
Preghiamo per Israele, perché scopra in Gesù il compimento delle sua attese; preghiamo per la Chiesa, perché tutti noi possiamo avere un’esperienza viva e profonda della Parola che ci è stata consegnata. E per Israele come per la Chiesa simile esperienza non viene dalla legge, ma in qualcosa che non dipende da noi, cioè dallo Spirito Santo, che apre il cuore e la mente, muove i cuori, cambia la vita. Così è per mezzo dello Spirito Santo che la Parola diviene come una spada, come quella che profetò Simeone alla Madre di Dio, che trafigge l’anima: trafigge per guarire, scuote per rinnovare, soffia per vivificare. Senza lo Spirito la Parola di Dio, infatti, è solo un libro vecchio, la liturgia solo dei riti, la Chiesa un’organizzazione, la carità semplice buona educazione, la preghiera un vuoto mormorare, la morale un semplice imparaticcio di usi umani.
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