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Dopo esser stato beatificato da Paolo VI il 27 aprile 1975, il prossimo 15 maggio sarà proclamato santo. Richiama a tutta la Chiesa l’attualità del ministero dei catechisti.

di Gabriele Cantaluppi

Fin da bambino Cesare si fa notare per la sua devozione. Ma la Provenza è in preda a disordini causati da guerre di religione  e nel 1562 Cesare, diciottenne, si arruola per la difesa della Chiesa e della fede. Ma ben presto si lascia convincere da suo fratello Alexandre, giovane ufficiale che vive alla corte di Parigi, a raggiungerlo, con l’illusione di ottenergli una carica onorifica e un ricco patrimonio. Purtroppo l’ambiente dissoluto provoca la sua caduta morale.

Nel 1573 la morte del padre e di un fratello canonico lo inducono a riflettere e ritorna a Cavaillon, dove due sante persone lo aiuteranno nel cammino di conversione. Una vedova analfabeta, Antoinette Réveillade vuole distoglierlo dalle riunioni mondane e una sera insiste: «Non si prende in giro Dio. Lui vi chiama e voi non Lo ascoltate. Egli non cessa di cercarvi e voi non cessate di fuggire». Incontra anche Luigi Guyot, uomo di vita esemplare, e guidato da lui inizia un cammino di penitenza. A Aix-en-Provence incontra padre Pierre Péquet, gesuita di Avignone, la cui esperienza spirituale e fermezza gli saranno di grande aiuto. Un giorno, mentre è ancora in abbigliamento da gentiluomo, è invitato ad accompagnare con un cero acceso un sacerdote che porta il Santissimo Sacramento a un malato. Prevede le beffe, ma le accetta come penitenza dei suoi peccati. Questa fortezza lo libera dallo spirito del mondo. 

Nel 1576 inizia gli studi in vista del sacerdozio; la sua pietà e la sua scienza nelle cose divine cominciano ad essere note. Nominato canonico della cattedrale Saint-Veran di Cavaillon due anni dopo, adempie con zelo a tutti gli obblighi di questo incarico, prima di essere ordinato prete nell’agosto del 1582. La sua predicazione semplice porta frutto: «L’abbiamo ammirato un tempo in questa città- dice la gente di Cavaillon- in mezzo alle compagnie più piacevoli; ora lo vediamo sul pulpito condannare le vanità che aveva tanto amate». Colpito dall’ignoranza religiosa del tempo, in seguito alla lettura del Catechismo del Concilio di Trento del 1566,  ha l’idea di fondare una società di sacerdoti catechisti. Si sente chiamato a un metodo nuovo per insegnare le verità della fede a tutti, in particolare agli ignoranti e agli abitanti delle campagne scristianizzate: «Bisogna che tutto quello che è in noi catechizzi e che il nostro comportamento faccia di noi un catechismo vivente... Vorrei che il mio corpo fosse tagliato in una infinità di pezzettini, se potesse sorgere da ognuno di essi un catechista». 

Giovani discepoli lo seguono e il 29 settembre 1592, con i primi cinque compagni, fonda la Congregazione dei Preti della Dottrina Cristiana, che sarà approvata da papa Clemente VIII nel 1598. «Dobbiamo essere convinti - dice loro - che non predichiamo per noi stessi, ma per l’utilità di coloro che ci ascoltano». Il suo linguaggio parla ai sensi e all’immaginazione; fa partecipare le famiglie al catechismo; presenta la dottrina a partire dai centri d’interesse della vita delle persone; compone e canta testi che illustrano il suo insegnamento.

Constatando l’ignoranza e la mancanza di educazione ai lavori domestici di molte donne, nel 1594 padre De Bus fonda l’Istituto delle Figlie della Dottrina Cristiana, destinato alla formazione e all’istruzione delle giovani donne. 

Questa sua preoccupazione per la catechesi lo rende moderno. Ai nostri giorni papa Francesco richiama con forza: «La catechesi è un pilastro per l’educazione della fede, e ci vogliono buoni catechisti!... Educare nella fede è bello! È forse la migliore eredità che noi possiamo dare: la fede! Educare nella fede, perché lei cresca. Aiutare i bambini, i ragazzi, i giovani, gli adulti a conoscere e ad amare sempre di più il Signore è una delle avventure educative più belle». (27 settembre 2013).

Gli ultimi suoi anni sono segnati da opposizioni e da scoraggiamento tra i discepoli; allora per garantire la solidità della sua opera ritiene opportuno legare i membri della congregazione con voti. 

è eletto superiore generale, ma è anche molto provato nella salute. Diventato cieco, continua nonostante tutto a predicare e a confessare, e ripete spesso: «Non ho visto né letto nulla a confronto di ciò che Dio mi ha fatto vedere da quando sono cieco». 

Quando parla di Dio e delle sue perfezioni, il suo volto s’infiamma. «Mi sembra - dice - se non mi sbaglio, di non amare altro a questo mondo che il Dio del mio cuore». Muore ad Avignone la mattina di Pasqua come aveva predetto: «Sarà per me doppiamente Pasqua, vale a dire il passaggio del Signore e il mio accanto a lui».  

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