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«Non c’è un solo atto eroico che non possiamo compiere con l’aiuto dell’Immacolata…»

di Madre A. M. Cánopi

Il 14 agosto del 1941, vigilia dell’Assunta: nel “bunker della fame” di Auschwitz – il campo di sterminio il cui ricordo non finisce di suscitare orrore e commozione – pronunziando dolcemente: «Ave, Maria», esalava l’ultimo respiro il detenuto n. 16.670, ossia padre Massimiliano Kolbe.

Sotto l’impeto della carità che gli era abituale, si era offerto in sostituzione di un padre di famiglia, uno dei dieci selezionati per morire al posto di un prigioniero fuggito. Aveva quarantasette anni ed era stato deportato mentre si dedicava appassionatamente alla diffusione della Milizia di Maria Immacolata, il movimento mariano che aveva fondato fin da quando era studente di teologia a Roma, allo scopo di far meglio conoscere e sperimentare il ruolo insostituibile di Maria Immacolata nella vita del cristiano e di ogni uomo.

Pur dovendo affrontare numerosi ostacoli – non ultimo quello della tubercolosi – padre Massimiliano era stato un infaticabile apostolo; con il suo contagioso entusiasmo aveva moltiplicato le Niepokalanów (Città dell’Immacolata) e diffuso bollettini tradotti in varie lingue per far giungere in tutto il mondo il consolante messaggio della maternità di Colei mediante la quale gli uomini arrivano a Gesù e Gesù agli uomini. Il segreto della mistica mariana, da cui padre Massimiliano ha attinto la forza di amare fino all’estremo sacrificio di sé, rimanda all’effetto che ebbe su di lui un’esperienza dolce e insieme sconvolgente fatta all’età di dieci anni. Sogno o visione? Mentre tutto solo pregava davanti a un’immagine della Madonna, egli l’aveva vista animarsi e mostragli due corone: una di fiori bianchi (simbolo della purezza) e una di fiori rossi (simbolo del martirio). Invitato a scegliere, il ragazzo non aveva esitato a sceglierle tutte e due, e da quel momento aveva affidato per sempre e totalmente alla Madre del Signore la propria esistenza. Molto eloquenti, al riguardo, sono alcuni propositi che, con ferma determinazione, aveva formulato durante un ritiro nel 1920: «Devo essere santo… La mia vita (in ogni suo istante), la mia morte (dove, quando, come) e la mia eternità, tutto questo è tuo, o Immacolata! Fa’ di me qualsiasi cosa ti piaccia». In tal modo intendeva essere aiutato da Maria a conformarsi a Gesù nell’umile povertà, nell’incondi-zionata obbedienza, nel più grande amore. E tutto questo si realizzò mirabilmente in lui, sia in vita che in morte. Voleva evangelizzare tutto il mondo per farlo diventare una Città dell’Immacolata: con il suo martirio di carità ha fatto il discorso più convincente.

Con la semplicità dell’infanzia e nello stesso tempo con la sapienza dell’anziano ricolmo di Spirito Santo, padre Massimiliano visse e morì come figlio di Maria Immacolata; fu questa la sua forma sanctitatis, la mistica bellezza del suo volto rimasta intatta nonostante l’atrocità della morte subita nel bunker, dopo aver aiutato a morire dolcemente nelle braccia della Madre, a uno a uno, i suoi nove compagni in lenta agonia. Ecco la testimonianza del suo carceriere: «Lo trovai appoggiato al muro, la faccia era raggiante in modo insolito. Gli occhi aperti e concentrati in un punto. Tutta la sua figura come in estasi. Non lo dimenticherò mai».

Un giorno, durante una conversazione, alcuni giovani confratelli gli avevano chiesto in che cosa consistesse essenzialmente la santità. Padre Massimiliano ribadì la sua convinzione: far combaciare pienamente la propria volontà con quella di Dio. Facile a dirsi, ma non ad attuarsi! E lui con tutta sicurezza: «Non c’è un solo atto eroico che non possiamo compiere con l’aiuto dell’Immacolata…». «Dove ha letto questo, padre?» gli chiesero. Ed egli, sorridendo con occhi di bambino: «Queste cose non s’imparano sui libri. Queste sono cose che si possono imparare solo stando in ginocchio…». È un invito per tutti.

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