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Linea continua nella Chiesa

di Alba Arcuri

Una giornata di digiuno e di preghiera per la pace indetta dal Papa per il Mercoledì delle Ceneri... Accadeva nel 2003, il 5 marzo, quando era alle porte la guerra in Iraq e sul soglio pontificio sedeva Giovanni Paolo II. Si è ripetuto quest’anno, con papa Francesco, il  2 marzo, cioè  pochi giorni dopo lo scoppio della guerra in Ucraina.

Cambia il Papa, non cambia l’atteggiamento di condanna da parte della Chiesa nei confronti della guerra. Non un pacifismo “di principio” dal sapore ideologico e un po’ utopico. Ma una richiesta di pace che poggia sui fondamenti e i principi che regolano la vita della Chiesa. Il primo fondamento è che Cristo è la nostra pace. E poi, che verità, giustizia, amore e libertà sono le colonne su cui poggia l’azione della Chiesa nel mondo (come descritto nell’Enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII), e questi si intrecciano con il diritto internazionale che ripudia la guerra come arma offensiva.

C’è una continuità che non sorprende nell’atteggiamento dei Papi, soprattutto dai tragici anni della Prima e della Seconda Guerra mondiale fino ai nostri giorni. A partire da Benedetto XV (che definì “inutile strage” la Prima Guerra mondiale), passando per Pio XI e poi per Pio XII che disse: «Nulla è perduto con la pace e tutto può esserlo con la guerra», senza dimenticare il grido «Jamais plus la guerre! Mai più la guerra» di Paolo VI e dei suoi successori. Basandoci su questa premessa possiamo leggere l’impegno del Santo Padre nel fermare “la mano di Caino”, l’orrore della guerra in Ucraina. 

La mano di Caino

«Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, ti imploriamo! Ferma la mano di Caino! Illumina la nostra coscienza (…) E quando avrai fermato la mano di Caino, abbi cura anche di lui. È nostro fratello». È l’implorazione di Francesco il 16 marzo scorso all’Udienza generale. «Perché mai il Papa non ha fatto nomi, non ha detto chi è Caino?», si saranno chiesti in molti. Ma le parole hanno un peso e l’obiettivo del Papa non è quello di stabilire chi sta dalla parte giusta della storia e chi dalla parte sbagliata (tanto per usare una espressione del presidente americano Biden), ma di fermare le armi il prima possibile, per evitare ulteriore spargimento di sangue. E per farlo occorre tenere aperto lo spiraglio delle trattative diplomatiche.

La Chiesa ortodossa in Russia

Tenere aperto un canale di dialogo con la Chiesa ortodossa russa, guidata dal patriarca Kirill I, è uno degli obiettivi della Santa Sede. Il patriarcato di Mosca (oltre il 40% dei russi vi appartiene) è da sempre molto vicino a Putin. Ne condivide lo spirito antioccidentale e la difesa dei valori tradizionali. Kirill non ha mai attaccato apertamente Putin, non ha mai pronunciato la parola “guerra”, ma ha parlato di “scoppio delle ostilità”. La Santa Sede, in ogni caso, non rinuncia al dialogo con il Patriarcato di Mosca per raggiungere la pace. Il 3 marzo c’è stato l’incontro a Mosca fra Kirill e il nunzio apostolico Giovanni D’Aniello. Il 16 marzo il colloquio in video tra il Patriarca e Francesco, da cui non sono emersi passi avanti. E a fine marzo la promessa di incontrarsi entro l’estate. Per intanto sembra una possibilità al tramonto, ma la Santa Sede sarà sempre attenta ad ogni spiraglio. 

Le Chiese in Ucraina

Non è facile ricostruire le vicende delle Chiese d’Oriente, quasi sempre suddivise su base nazionale e dunque animate da uno spirito così diverso dal Cattolicesimo (universale). Nel caso dell’Ucraina c’è stata una doppia lacerazione. Fino alla caduta dell’Urss non c’era una suddivisione fra Chiesa ortodossa russa e ucraina. Ma dopo l’indipendenza della ex repubblica sovietica, nel 1991 avviene la separazione, nasce la Chiesa ortodossa ucraina, autonoma da Mosca e fedele a Costantinopoli; però una parte del clero e dei fedeli decide di restare fedele al Patriarcato di Mosca. Ora con la guerra anche questo vacilla: la parte fedele al Patriarcato di Mosca ha espresso la sua condanna verso l’aggressione russa al popolo ucraino, entrando implicitamente in contrasto con il Patriarcato stesso.

È in questo clima che papa Francesco, come ha preannunciato nel suo viaggio a Malta il 2-3 aprile, si era detto disponibile ad andare a Kiev, ma solo se la cosa fosse stata di qualche utilità. A un mese dal conflitto, il 25 marzo scorso, il giorno dell’Annunciazione, il Santo Padre nel solco dei suoi predecessori (prima Pio XII, e poi Paolo VI e Giovanni Paolo II) ha consacrato la Russia e l’Ucraina al Cuore immacolato di Maria, perché possa intercedere per la pace, rivolgendo a lei la supplica: 

«Accogli dunque, o Madre, questa nostra supplica.

Tu, stella del mare, non
lasciarci naufragare
nella tempesta della guerra.

Tu, arca della nuova alleanza, ispira progetti
e vie di riconciliazione.

Tu, “terra del Cielo”, riporta la concordia di Dio nel mondo.

Estingui l’odio, placa la vendetta, insegnaci il perdono.

Liberaci dalla guerra, preserva il mondo dalla minaccia
nucleare.

Regina del Rosario, ridesta
in noi il bisogno di pregare
e di amare.

Regina della famiglia umana, mostra ai popoli la via della fraternità.

Regina della pace, ottieni
al mondo la pace».

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