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Saturday, 29 February 2020 15:53

Giuseppe: “padre” di una eredità ricevuta dal Figlio

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Possiamo considerare san Giuseppe l’ultimo dei patriarchi che, alla dogana dei confini del Vecchio Testamento, consegna all’umanità l’alfabeto per scrivere un nuovo testamento.

Egli ha portato il carico della sua obbedienza a Dio e ha collocato il Creatore al vertice della sua fede e non ha esitato un istante ad eseguire i desideri che Dio gli manifestava attraverso i sogni. 

Giuseppe incarna l’atteggiamento dell’uomo dell’Antico Testamento: la sua fede non indaga, ma esegue, consapevole che Dio non inganna.

Egli aveva appreso alla scuola dei rabbini alla sinagoga che la storia del suo popolo non era tanto la visione che l’uomo ha di Dio ma la visione che Dio ha dell’uomo. «La Bibbia non è tanto la teologia dell’uomo, ma l’antropologia di Dio, che si occupa dell’uomo» e di ciò che il Creatore desidera dalla vita dell’uomo. L’ascolto della Scrittura più che una ricerca sulla natura di Dio era la ricerca di un’osservanza scrupolosa del fluire della vita nell’alveo della Legge.  Nella Legge, consegnata dal Creatore a Mosè come piattaforma di benessere per il popolo dell’Alleanza, erano codificate le dieci “raccomandazioni”, che noi abbiamo chiamato “comandamenti”, erano delle ricette pedagogiche per una coesistenza pacifica. Con il passare degli anni, ci penseranno i rabbini a sviluppare le ultime sette “raccomandazioni” in obblighi.  Dal grappolo delle dieci Parole hanno fatto uscire ben 613 precetti da osservare scrupolosamente. Tra questi 365 erano precetti positivi quasi una benedizione quotidiana e 248 i comandi di proibizione, cioè azioni dannose da evitare.

L’educazione religiosa di san Giuseppe non era allenata a scavare con l’intelligenza i misteri eterni di Dio, egli percepiva la vita come un ricamo di amore e di tenerezza con cui Dio lo nutriva e lo spingeva a ricercare il suo volto sorridente e scoprire che il Creatore lo amava e lo circondava di amore paterno.

La misteriosa missione di san Giuseppe destinata ad essere l’ombra dell’amore di Dio accanto a Gesù, lo poneva in una situazione singolare e di privilegio. Giuseppe era chiamato ad essere padre di un figlio “primogenito”. In Israele ogni padre sognava che il figlio primogenito potesse essere destinato a diventare il messia atteso da secoli.

In quel lontano paese della Galilea poteva essere pazzia pensare a una così grande dignità, ma l’obbedienza a Dio era al di sopra di tutte le leggi.

Giuseppe pur pieno di timore per l’alta missione, annunciata, ma ancora in embrione, si fidava di Dio e – pur con lo sconvolgimento dei suoi piani – Giuseppe accettò la rivoluzione dei suoi sentimenti di amore nei confronti di Maria e ha giocato la sua vita sulla fiducia in Dio.

Pur nel tremore della sua missione, egli esprime la consapevolezza di essere conosciuto da Dio e ha scommesso fiducioso sulla sua volontà.

Per Giuseppe, Dio è una realtà talmente alta per cui non se la sente di opporsi e accetta il suo piano. Diventa il papà terreno di Gesù e protettore della Chiesa universale.

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