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Ascolta ora!

Carissimo San Giuseppe,

eccoci al nostro consueto appuntamento per stare un po’ in tua compagnia, ascoltare i tuoi silenzi, avvertire la carezza dello Spirito che accarezza il nostro cuore e infonde in noi fiducia e perseveranza nell’affrontare i disagi della vita. 

In questo momento del vespro, immagino di stare seduto accanto a te all’ombra di un albero, sentire la brezza confortevole che scavalcando i monti del Carmelo giunge sino a Nazareth e rendere confortevole il tramonto.

In questa stagione sentiamo il profumo del grano mietuto. La pianura di Esdrelon, sottostante alla collina di Nazareth, sembra un campo dorato.

Siamo entrati nel mese di giugno prima di scollinare da maggio al giugno ho ascoltato per radio un pensiero come viatico della giornata da parte della professoressa Chiara Giaccardi docente all’Università del Sacro Cuore a Milano. 

Diceva questa esperta lettrice  dei diari dei tempi antichi ma anche attenta osservatrice della cronaca della nostra umanità, che  il mese di  «Giugno è  il mese del sole, il mese della libertà» .  Il mese in cui i ragazzi sono liberi dagli impegni della scuola.

Questo mese che ha ereditato il nome da Giunone, che, nel panorama delle divinità pagane, era considerata la «Dea dell’abbondanza, raffigurata come mamma dalle forme generose, custode di femminilità, donna forte, madre nutrice degli uomini e nutrice della terra che dà nutrimento ai viventi. 

Una terra che esplode in questa stagione come un velo dorato punteggiato del rosso dei papaveri. 

Giugno è il mese dei papaveri: fiori belli solo se lasciati nella terra, mescolati a grano e fiordalisi. 

Fiori che ci insegnano a contemplare e gioire, senza volerli strappare e possedere; coglierli, strapparli e possederli significa farli morire. 

Il poeta fiorentino Mario Luzi descriveva il mese di giugno come: «Una fiammata di papaveri sotto il cielo», luminoso e terso.  

Giugno, davvero, è il mese della luce, di quelle giornate azzurre, troppo azzurre che quando eravamo bambini sembrano non finissero mai e che da adulti rischiamo di non saper più assaporare nella loro luminosa lentezza. 

 Un'altra poetessa, Ada Negri, definiva il mese con queste parole : «Cielo di giugno, azzurra giovinezza dell’anima». 

 Questo mese dedicato alla spiritualità del Cuore di Gesù dà inizio alla stagione estiva.  Iniziano le vacanze dalla scuola e la gente si riversa nelle strade, nei parchi, nei vicoli, nei cortili, esplodendo in colorate forme di socialità gioiosa.  E ieri più di oggi erano momenti di fraternità e di gioia condivisa.

Ma oggi, chi è solo rischia di sentirsi ancora più solo, e chi è escluso ancora più escluso: tutti hanno fretta  di godere l’azzurro del cielo. 

Non lo dovremmo dimenticare mai, anzi dovremmo trovare un modo per offrire una mano, un sorriso, per ritagliare un tempo di attenzione, per condividere qualcosa di questa abbondanza con chi si sente al margine, quasi escluso dal gioco delle vita.  

Giugno è il mese dell’inizio dell’estate e come tutti gli inizi, pieno di promesse, di semi che attendono di sbocciare di una pienezza che è per tutti. 

Mi piacciono queste parole: «Un frutto è sempre un bacio all’altare segreto della fecondità di un seme» che a giugno sorride, donando saporosi e colorati frutti.

 Ritorniamo a san Giuseppe. Anche ai tuoi tempi, o Giuseppe, festeggiavate la festa della Pentecoste che era la festa del ringraziamento per il raccolto: era il frutto che si ammassava  nel granaio prima di diventare pane e rappresentava la sintesi del dono di Dio che nei mesi precedenti tempo aveva mandato la pioggia, il sole, il vento per fecondare i semi, la salute all’uomo per il suo lavoro e le spighe dorate erano il trofeo della vittoria della bontà di Dio e del lavoro dell’uomo.

Anche per te, o Maria, e il giovane Gesù, la Pentecoste era la festa della fecondità della natura; era l’esperienza di un cammino nel segno della fedeltà di Dio nei confronto del suo popolo come anche la fedeltà del popolo nei confronti di Dio.

 Mentre pensavo alla tua persona, o amato San Giuseppe,  mi tornava alla mente una frase del commediografo italiano che diceva: «È molto più semplice  essere un eroe che un galantuomo. Eroi si può essere una volta ogni tanto; galantuomini si dev’essere sempre». 

La perseveranza nella virtù senza chiasso e applausi è molta più faticosa. È come una perla che cattura frammenti di luce dall’acqua che l’accarezza per diventare nel silenzio del mare e nel buio di una conchiglia un concentrato di splendore e di luce.- 

Tu Giuseppe, sei stato  un galantuomo nei confronti di Dio, della tua amatissima sposa, Maria e un padre modello di Gesù.

 Nell’evangelo, in cui Gesù è il protagonista assoluto, a te, o Giuseppe, non è stata riservata neanche una parola, ma è stato edificato un monumento della tua testimonianza di fede in Dio, creatore dell’universo, che ti ha scelto per una singolare ed irripetibile missione.

Dalla tua testimonianza, o san Giuseppe, traspare un annuncio assai importante: ci vuoi insegnare che la radice del fare è l’essere. 

Il nostro agire ha la sua anima nella profondità dei nostri pensieri.  Ogni persona è veramente felice di esistere quando le sue azioni emergono in armonia e dall’accordo trai suoi ideali  e il suo agire.  

 La preghiera  di san Giuseppe dormiente. 

 Stacco musicale

È capitato a tutti, soprattutto nell’età infantile di portare all’orecchio una conchiglia con la convinzione di sentire lo sciabordio delle acque provocato dalle onde marine.

Il silenzio di quella conchiglia suscita il dolce suono delle onde che accarezzano la spiaggia così mi pare che possa avvenire anche se ci mettiamo ad ascoltare i silenzi di san Giuseppe e facciamo scorrere nella memoria le pagine dell’evangelo che lo trovano presente e protagonista di eventi, e sentiamo i fatti che parlano, la fede che canta di gioia, le contrarietà e il respiro affannoso, e, se pensiamo al radicale cambiamento della sua vita affettiva con Maria, la sua sognata fidanzata,  di cui era tanto innamorato, possiamo sentire  anche i singhiozzi delle sue lacrime. 

Come un critico d’arte da un dipinto riesce a scoprire il volto più bello  della fede del pittore, così chi coltivala spiritualità di san Giuseppe  è capace di cogliere dal suo silenzio, accompagnato  e illustrato dai colori della sua immediata azione  che si fa esecutrice dei desiderio di Dio, coglie lo spessore della sua fede e dalla sua adesione alla volontà divina che lo investe di una grande missione: essere l’ombra del Padre eterno che gli consegna  da gestire, educare, far crescere nella qualità umane il suo figlio, mandato a redimere l’umanità.

Come l’arte parla il linguaggio delle emozioni, comuni a tutte le creature umane, così è l’ascolto silenzioso di eventi importanti. 

Sono convinto che chi è capace di frequentare la cattedrale del creato e ascoltare i silenzio trova la sorgente di luce per non camminare nel buio.  

Gli evangeli alla nascita di Gesù registrano le parole  del libro  della Sapienza: «Mentre un profondo silenzio avvolgeva  tutte le cose e la notte era a metà del suo corso, la tua Parola onnipotente, o Dio, si lancio nel cuore della terra.

Mi fa pensare la frase del teologo Romano Guardini: «Il silenzio è tutto il contrario del nulla: anzi è la pienezza delle vita». La ricerca della pienezza di vita non mi rende come una banderuola che muta parere ad ogni cambiamento di vento. 

Il silenzio dell’anima assomiglia al silenzio della terra che avvolge  il seme e gli premette di fruttificare. Diceva il grande Blaise Pascal che «nella fede come nell’amore i silenzi sono più eloquenti delle parole».

Stacco musicale  violino o flauto  

Oggi viviamo immersi in un inflazione di parole e, purtroppo, molte volte,

 sono parole senz’anima, perché si ha l’impressione che l’eccesso di parole non è compensato da un antidoto equilibratore che è il silenzio. 

 Il vero silenzio è un oasi in cui si entra dopo essersi prepararti in modo da essere capaci di vivere un’esperienza intima con se stessi e con Dio.

Il silenzio, per essere fecondo di nobili desideri e progetti, ha bisogno di un silenzio esterno come dimostrano gli innamorati quando si fissano negli occhi e nel silenzio si scambiano il reciproco amore.

 Non possiamo tacere che anche l’isolamento esterno, l’appartarsi può essere un grande dono di Dio. La solitudine per tante persone non sempre è una  scelta, ma costretta dalla vicende della vita, però quando si sceglie offre spazi interiori in cui Dio viene ad abitare, a parlare e a consolare. 

 Dobbiamo suggerire  che ci sono delle esperienze  come gli esercizi spirituali che aiutano nel silenzio ad avere un discernimento più profondo per guardarsi dentro e scoprire panorami inesplorati e percorsi di vita spirituale di sempre maggior comunione con Dio e con i fratelli.

 In un’intervista di queste settimane un cardinale presentando un suo libro proprio sul “Silenzio” esprimeva,  con sofferenza che «il nostro mondo moderno viva di fatto un allontanamento da Dio. Non dobbiamo pensare questo solo in termini intellettuali, perché questo allontanamento è un vissuto. È la vita quotidiana di milioni di persone nella sua concretezza ad essere marcata dal vuoto originato dall'assenza di Dio. 

Se manca Dio, l'uomo deve disperatamente cercare qualcosa che gli faccia una promessa di assoluto, e deve purtroppo constatare nel contempo che niente di ciò che è semplicemente umano può riempire completamente il suo cuore».

A questo punto mi sembra mi sembra utile ricordare le parole  di sant’Agostino quando dice che il cuore dell’uomo vive nell’inquietudine finché non avrà raggiunto il cuore stesso di Dio. 

Il problema di questa dimenticanza di Dio è che noi cristiani ci ostiniamo a cercare in soluzioni puramente umane le risposte al nostro destino. Di fronte ai grandi innegabili problemi, invece che alzare il cuore e le mani a Dio, ci ostiniamo a cercare nei mezzi umani le nostre soluzioni. 

  Dobbiamo convincerci che nella vita la spiritualità emerge dalle fondamenta di una fede vissuta. 

Nei giorni scorsi Papa Francesco ha detto: «Chiederò a tutta la Chiesa di dedicare il mese di ottobre dell’anno 2019 ad un tempo straordinario di preghiera e riflessione sulla missio ad gentes, sull’annuncio cioè dell’evangelo ai pagani.

“Rinnovarsi richiede conversione - ha  spiegato il Papa - richiede di vivere la missione come opportunità permanente di annunciare Cristo, di farlo incontrare testimoniando e rendendo gli altri partecipi del nostro incontro personale con Lui. Auspico che la vostra assistenza spirituale e materiale alle Chiese le renda sempre più fondate sul Vangelo e sul coinvolgimento battesimale di tutti i fedeli, laici e chierici, nell’unica missione della Chiesa: renda l’amore di Dio prossimo ad ogni uomo, specialmente ai più bisognosi della sua misericordia.

 II Mese straordinario di preghiera e riflessione sulla missione come prima evangelizzazione servirà a questo rinnovamento della fede ecclesiale, affinché al suo cuore stia e operi sempre la Pasqua di Gesù Cristo, unico Salvatore, Signore e Sposo della sua Chiesa”.Il Papa ha concluso la sua udienza alle Pontificie Opere Missionarie con queste parole: «Nello spirito dell’insegnamento del Beato Paolo VI, desidero che la celebrazione dei 100 anni dell’esortazione apostolica  Maximum illud, nel mese di ottobre 2019, sia un tempo propizio affinché la preghiera, la testimonianza di tanti santi e martiri della missione, la riflessione biblica e teologica, la catechesi e la carità missionaria contribuiscano ad evangelizzare anzitutto la Chiesa, così che essa, ritrovata la freschezza e l’ardore del primo amore per il Signore crocifisso e risorto, possa evangelizzare il mondo con credibilità ed efficacia evangelica».

 Stacco musicale  violino o fluato

 Siamo arrivati in cima ad una vetta silenziosa. Siamo toccati da un soffio lieve come una carezza, la carezza di Dio. Siamo nella condizione ideale per l’ascolto della Parola. Diceva  Dietrich Bonhoeffer, un pastore protestante assassinato dalle SS di Hitler il 25 aprile 1945: «Facciamo silenzio prima di ascoltare la Parola in modo che i nostri pensieri siano già rivolti alla Parola. Facciamo silenzio dopo l’ascolto delle Parola perché questa ci parla ancora, vive e dimora in noi. Facciamo silenzio al mattina presto, perché Dio deve avere la prima parola; facciamo silenzio prima di coricarci perché l’ultima parola appartiene e Dio. Allora facciamo silenzio per amore della Parola».

 Siamo invitati ad un silenzio mirato verso un alone di luce che ci avvolge e permette al nostro cuore di essere interpellati. 

Ed è in questo alone di luce che la liturgia c domenica ci ha fatto pregare con una sequenza  di invocazioni allo Spirito Santo.

Vieni, Spirito Santo,

manda a noi dal cielo

un raggio della tua luce.

Vieni,  padre  dei poveri,

vieni, datore dei doni,

vieni  luce dei cuori.

Consolatore  perfetto,

ospite dolce dell'anima,

dolcissimo sollievo.

Nella fatica riposo,

nella calura  riparo,

nel  pianto,  conforto.

O luce beatissima

invadi nell'intimo

il cuore dei tuoi fedeli.

Senza la tua forza,

nulla è nell'uomo,

nulla senza colpa.

Lava ciò che è sordido,

bagna ciò che è arido,

sana ciò che  sanguina.

Piega ciò che è rigido,

scalda ciò che è gelido,

drizza ciò che  è sviato.

Dona ai tuoi fedeli

che solo in te confidano

i tuoi santi doni.

Dona virtù e premio,

dona morte santa,

dona gioia eterna.

Amen

Canto Veni, creator Spiritus

 La liturgia della chiesa  nelle lodi  del sabato mattina fa il salmo 8 è un canto a 2 voci, è come uno stornello: c’è la voce di Dio creatore  e la voce dell’uomo nell’esaltare il capolavoro del creato. 

 Dall’armonia divina è scaturita l’armonia umana. Il salmo 8 da armonia ad armonia percorrere tutta la gamma delle note musicali di Dio  e si chiude in un abbraccio perfetto sull’uomo.

 Il salmo si interroga: «Che cosa è l'uomo perché te ne ricordi e il figlio dell'uomo perché te ne curi? Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi». In queste parole il salmo 8 celebra la grandezza dell’uomo, che Dio ha voluto associare a sé nel mantenimento dell’ordine della creazione.

Perché possa svolgere degnamente il proprio compito dona a ciascuno le grazie necessarie: «La grazia è l'aiuto che Dio ci dà perché rispondiamo alla nostra vocazione» (CCC 1021). 

San Giuseppe è stato chiamato da Dio ad una vocazione speciale e perciò elevato ad una grandezza  unica ed esclusiva, ricolmato di grazie speciali per svolgere degnamente il proprio compito.

Incarnandosi, il Figlio di Dio è nato bambino e, seguendo l’ordine della natura umana, è cresciuto “in sapienza e grazia” coll’ avanzare in età. 

Il Padre celeste gli pose accanto san Giuseppe, affinché lo rappresentasse e fosse come la sua ombra. Questa  metafora è molto adatta a mettere in evidenza le relazioni del Padre con il compito del Santo.

L’ombra non si separa mai dalla persona che la produce. Quando camminiamo sotto una fonte di luce essa ci precede o ci segue: non possiamo allontanarcene.

 Il padre per ogni creatura umana è colui che ha il compito di traghettare il  bambino in questo continente che lo ospita. In questa fase il padre fa da ponte, gli fa da guida, gli insegna il mestiere del vivere a contatto anche con la natura che lo circonda. 

Ogni bambino viene dall’esperienza della madre della quale ha vissuto la tenerezza, il calore del suo corpo e la soddisfazione dei suoi desideri. La luce della madre proietta agli occhi del  bambino una figura di riferimento: la luce della madre diventa ombra sul padre in cui il bambino, nell’accettazione dei suoi limiti riconosce nel padre la potenza, la forza, l’agilità e l’esperienza nell’affrontare la vita. Giuseppe come proiezione di un’ombra che gli viene  da lontano ha un grande ruolo non solo in Gesù ma anche in noi come un padre che ci accompagna nel viaggio dell’esistenza.

 Oggi alla vigilia delle vacanze scolastiche vogliamo attingere un esempio  dalla letteratura. Apriamo il libro dell’Odissea di Omero e leggiamo che il figlio di Ulisse  Telemaco dice queste parole: «Se ciò che i mortali più desiderano potesse essere ottenuto con un batter d’occhio, la prima cosa che chiederei sarebbe il ritorno a casa del padre». 

Giuseppe è entrato nel DNA della nostra spiritualità nei rapporti della nostra fede con Gesù.

 L’ombra di san Giuseppe cammina a fianco a noi e proietta  sulla nostra vita gli esempi della sua forte personalità.  Ieri con Gesù e oggi con noi, san Giuseppe non può scindersi dalla luce  Dio Padre in forza della missione affidatagli di essere custode di Gesù, e anche per noi costituisce una simbolica ombra, quasi  sponda, una mano paterna che ci accompagna in un cammino garantito per il successo della vita. Questo vale per ogni papà di oggi e per ognuno di noi. 

 Chiediamoci quali sono le qualità umane che possono ispirarci?

Abbiamo detto all’inizio della trasmissione non sono tanto le parole mai pronunciate, ma gli esempi, il comportamento che gridano più forte delle parole. 

Giuseppe come uomo, fidanzato e marito di Maria irradiò un esempio  formidabile di padre: la sua determinazione di fronte a problemi complessi come la gravidanza misteriosa, il disagio del viaggio per obbedire all’editto del censimento, la difficoltà della nascita di Gesù, la persecuzione di Erode per la strage degli innocenti neonati,  la fuga precipitosa dell’esilio in Egitto, il ritorno a Nazareth.

Scrive Bossuet: «Il vero padre di Cristo, questo Dio che lo genera dall’eternità, avendo scelto san Giuseppe per servire da padre nella pienezza dei tempi al suo Figliolo unico, fece in qualche modo scendere nel suo seno qualche raggio dell’amore  intanto che il giusto Giuseppe sente in se stesso un cuore paterno, formato dalle mani di Dio; sente altresì che Dio gli ordina di usare l’autorità paterna ed egli osa comandare a Colui che conosce per suo Signore. Nella solenne investitura dell’ufficio a san Giuseppe è detto: “Eccoti superiore e padre del mio Unigenito. Io sarò la tua autorità e tu sarai la mia ombra».

L’ombra del Padre in san Giuseppe spingeva Maria a guardarlo con riverenza e Gesù a obbedirgli.  E ancora oggi san Giuseppe viene in aiuto per il ritorno dei padri in famiglia  a vivere il loro ruolo di “ponte” tra l’esperienza paterna  e il futuro del figlio da costruire; il coraggio di affrontare le sfide della moderna società con le problematiche della globalizzazione che corre il rischio di appiattire tutto e rendere grigia e incolore la vita delle persone.

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