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Sacerdote, fondatore- 30 aprile

di Michele Gatta

Tutto è iniziato nella cattedrale di Torino quando il sagrestano bussò al suo studio per dirgli che era desiderato. Doveva conferire per un’estrema unzione ad una signora che si era sentita poco bene mentre da Lione si recava a Milano. Era stata rifiutata dagli ospedali poiché povera e si era rifugiata in una stanza d’albergo povero assieme ai figlioletti e al marito.

Cottolengo quella sera davanti all’altare della Madonna riversò tutta l’amarezza e lo sconforto di quello che aveva vissuto. Due giorni dopo, eccolo vendere quanto poteva: quadri, libri, fibbie d’argento, un orologio d’oro, lo stesso mantello, e poi acquistare due stanze e dare inizio a una delle esaltanti avventure della carità cristiana.

Giuseppe Benedetto Cottolengo era nato a Bra, nel cuneese, nel 1786. Primo di dodici fratelli, ebbe la fortuna di studiare e di entrare nel seminario di Torino per uscirvi sacerdote e laureato in teologia. Vicecurato a Corneliano d’Alba e poi canonico a Torino. 

La prima donna che ebbe come ospite nelle due camerette fu una vecchia paralitica. All’insistenza del Cottolengo di aiutarla, la poveretta provava a schernirsi dicendo: «Ma io non ho soldi per pagare». E il santo: «Non si preoccupi, la retta la pagherà la divina provvidenza». Con il colera del 1831 fu costretto a chiudere e trovare un altro luogo dove portare gli assistiti. Al confratello che era andato a comunicargli di doversi trasferire il Cottolengo serenamente confidò: «Ho sempre sentito dire che i cavoli perché crescano bene hanno bisogno di essere trapiantati. La “divina provvidenza” dunque rimpianterà e… si farà un gran cavolo».

Caricate le masserizie su di un carretto, accompagnato da due suore, andò dalle parti di Valdocco. Si imbattè in un casolare abbandonato sulla cui insegna si leggeva: «Osteria del Brentatore». La capovolse e vi scrisse: «Casa della Divina Provvidenza», commentando: «Ecco trapiantato il cavolo». Vi giungevano in quantità vecchi, handicappati, orfani ma anche medicine, viveri e persone disposte ad aiutare.

Per mantenere in piedi l’opera il santo dovette sudare più di una camicia e patire molto quando la provvidenza sembrava dimenticarsi dei suoi poveri. Le sue forze non lo ressero e fu costretto a fermarsi: «L’asino si rifiuta di camminare» scusandosi con i confratelli. Ringraziando la Divina Provvidenza si spense il 30 aprile 1842, attorniato dall’affetto e gratitudine dei confratelli e assistiti.

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