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di Eraldo Affinati

Basta guardare nel volto il prossimo per accendere la luce dei riflettori sulla vera strada.
Non muoversi come se fossimo una palla di biliardo schizzata chissà dove

Edificare un luogo dove ritrovarci nella consapevolezza di essere tutti in una medesima barca: tale tensione unitaria va conquistata, è un fatto culturale, non naturale. Istintivamente l’uomo tende a ritrarsi, chiudendosi nel proprio mondo, a protezione, nel tentativo di evitare il dolore. La scuola è chiamata a insegnare la matrice corale dell’esistenza, non solo in quanto consegna i tesori della tradizione, ma perché incarna il groviglio delle radici da cui proveniamo.
Imparare a interpretare gli eventi significa prendersi in carico il peso del passato, sapendo che ogni nostra iniziativa individuale è il frutto di un lavoro collettivo che ci precede, rispetto al quale non possiamo avere atteggiamenti disinvolti. 
Ad esempio, nel momento in cui scriviamo o pronunciamo una qualsiasi frase, entriamo in una dimensione verbale, cioè in un sistema di segni che altri uomini prima di noi hanno concepito per strutturare le idee, spiegare i grumi emotivi, dare senso alla vita.
Tutto questo oggi viene spesso declinato in chiave ambientale: l’incendio delle foreste amazzoniche o lo scioglimento dei ghiacci artici chiama in causa l’esistenza umana: la nostra e quella delle future generazioni. Si tratta di un’evidenza plastica che i capi di Stato stentano a considerare, come se fossero disposti a muoversi soltanto di fronte all’emergenza diretta, senza considerare ciò che potrebbe accadere fra cinquant’anni. Tuttavia il concetto di “casa comune” possiede un rilievo ancora maggiore che non dovrebbe passare inosservato perché riguarda la natura stessa della condizione umana, basata, come sappiamo, sulla finitudine.
Il transito temporaneo cui siamo destinati accresce il valore all’azione quotidiana: è impossibile negarlo, sia per il credente, sia per l’ateo. Tante volte l’ho pensato e l’ho detto: un immortale non scriverebbe. A chi potrebbe lasciare i suoi testi? E perché concepirli? Orientare il cammino diventa così il vero obiettivo preliminare, giacché parlare del traguardo implica altre operazioni mentali ed emotive. La dimostrazione della presenza o dell’assenza di Dio non ci porterebbe da nessuna parte: esistono intelligenze capaci di legittimare qualsiasi teorema. Basta guardare nel volto il nostro prossimo per accendere la luce dei riflettori sulla vera strada da percorrere.
Muoversi come se fossimo una palla di biliardo schizzata chissà dove: tanti artisti del Novecento hanno vagheggiato tale condizione, lasciandosi spesso affascinare dall’immagine dell’uomo senza programmi, nato nella fanghiglia dei lemuri, destinato a sprofondare nel caos primordiale da cui proviene. Ma si trattava in fondo di una risposta incongrua, ancorché commovente. 
Per uscire dalla solitudine bisogna costruire relazioni significative che siano inserite dentro un progetto di valori condivisi, altrimenti c’è sempre il rischio che l’amicizia si trasformi in un legame chiuso in se stesso. 
La forza di un movimento sociale teso al proprio esclusivo vantaggio può essere devastante e autodistruttiva, specie quando diventa una banda. è la ragione per cui Michel de Certeau credeva che «l’esperienza cristiana rifiuta profondamente questa riduzione alla legge del gruppo e ciò si traduce in un superamento incessante». è anche questo, io credo, il senso del rinnovamento ecclesiale indicato ormai da tempo, con piglio sudamericano e strenua fedeltà evangelica, da papa Francesco.
La “casa comune” rappresenta il terreno che abbiamo sotto i piedi nell’intuizione pragmatica di quella celeste: nella visione di Blaise Pascal avrebbe potuto essere anche il fossato di relitti dove finiscono i sogni più belli, sarebbe stata comunque l’energia da cui avremmo trovato alimento. I rapporti che si formano in aula fra insegnante e scolari, nella risonanza della vegetazione sociale che attraversano, recano in sé una tensione verso l’assoluto di cui ogni pedagogo deve tener conto. Ecco perché il docente non dovrebbe mai essere lasciato da solo: né in senso pratico, né in senso spirituale.

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