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Nel mese di dicembre

di Mario Carrera


Ancora prima della nascita di Gesù, quando Dio nel Medio Oriente stava plasmando il popolo che si era scelto per far giungere l’abbraccio del suo cuore di padre ad ogni creatura umana, nel mondo greco un pensatore scriveva: «Se tu andassi in giro per il mondo, potresti trovare città prive di mura, popoli che ignorano la scrittura, non hanno un  re, case e ricchezze, non fanno uso delle monete, non conoscono teatri e palestre, ma nessuno vide mai, né vedrà mai, una città senza templi e senza divinità». 

Il “mistero” da sempre affascina l’uomo. Come ogni realtà vivente per respirare e vivere ha bisogno della luce, così l’uomo ha bisogno di interrogarsi per conoscere il senso dell’esistenza e dell’enigma di cui è avvolto.  Quando questa voglia di sapere si spegne – lo sosteneva con ragione anche papa Benedetto XVI – l’uomo diventa meno uomo.

Un onesto filosofo come Norberto Bobbio, anni fa, su una importante rivista aveva scritto questa affermazione: «Io vivo il senso del mistero, che, evidentemente, è comune tanto all’uomo di ragione che all’uomo di fede […] Resta fondamentale questo profondo senso del mistero che ci circonda, ed è quello che io chiamo senso di religiosità». 

È fuori dubbio che c’è un alone di luce che sfugge ai nostri occhi e che il dono della fede ci fa percepire come legame di solidarietà tra il cielo e la terra.

Nel corso della storia, Dio creatore, con Gesù redentore, è entrato nella storia umana e ha firmato con il sangue di suo Figlio un patto di eterna alleanza con l’umanità. Questo rapporto tra alleati perdura nei secoli in un legame di fraterna solidarietà.

 La circostanza del 150° anniversario del Patrocinio di san Giuseppe per la Chiesa universale ci invita riflettere su questa alleanza e, per noi credenti, a volgere uno sguardo amorevole a san Giuseppe.  

Quest’uomo è stato chiamato ad “adottare” Gesù in vista del dilatarsi della Chiesa come una grande famiglia che vive gli stessi sentimenti della vita quotidiana abituali nella casa di Nazareth. 

Parlando di paternità nel cuore della Chiesa universale, oltre che a Dio-Padre, il punto di riferimento umano è san Giuseppe, chiamato a svolgere un ruolo di padre, incaricato a far crescere il figlio di Dio sino all’adolescenza.

È una paternità che Giuseppe condivide con tutti i papà che mettono al mondo dei figli, nati dalla loro carne, e consegnati a loro in gestione per far ben maturare i doni che la vita racchiude nei cromosomi di un germe iniziale.

Il segreto di ogni educazione è trasmettere, per la via del cuore, la testimonianza autentica di chi può dire al proprio figlio: «Ragazzo, con lealtà e amore, ti confesso che ho scoperto la verità e te la indico con la testimonianza della mia vita. Tu fai le tue scelte».

Per noi adulti l’educazione consiste nel proporre uno stile di vita mosso dalla costante volontà di proseguire nell’educazione di se stessi nel rapporto con chi ci vive a fianco.

Anche noi siamo stati educati a percorrere il futuro e compiere le nostre scelte nell’alveo di una storia: il fiume del passato ci ha spinti in avanti; ha mutato panorami e stili di relazioni.  Come cristiani oggi viviamo il Natale non solo come nostalgia di un’infanzia gioiosa, ma in un rinnovato sussulto di convalidata responsabilità nel progettare la famiglia come un perenne ed insostituibile bene dell’umanità.

Dalla santa famiglia di Nazareth impariamo la semplicità di vita di un Dio che si fa carne, che piange come tutti i bambini, che cerca il calore del seno della mamma. Da questa realtà divinizzata parte l’appello a far vivere in pienezza un amore, fondamento insostituibile che ha, da sempre, la sorgente nel cuore della madre, della responsabilità del padre e nei vincoli fraterni dei figli che, a Natale, ricompongono in armonia e reciproca fiducia nel futuro.  

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