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Anniversario della morte del venerabile Aurelio Bacciarini, vescovo di Lugano

di Graziella Fons

Molte volte dimentichiamo che quello che ci rende simili a Dio è la capacità di amare.

Questo amore si dilata costantemente a misura dello sguardo di Dio e quanto più questo sguardo è concentrato sui talenti ricevuti, allo stesso modo noi stessi irradiamo la stessa luce divina.

Per questo motivo è stato scritto che «un santo è un volto visibile, palpabile della perfezione evangelica», per questo san Francesco di Sales sottolineava la differenza che c’è tra una pagina di musica e sentire quelle stesse note cantate. «Tra il libro degli Evangeli e la vita dei santi - scriveva il santo Vescovo - c'è tutta la differenza che corre tra la musica scritta su uno spartito e quella cantata».

Bacciarini, prima di diventare il direttore dell’orchestra nel governare una diocesi, è stato un bravo discepolo, ha cantato nel coro del popolo di Dio e poi ha sentito il fascino della vocazione al sacerdozio lasciando la sua valle ticinese e diventando discepolo di Gesù.

Ha voluto essere al suo seguito per aiutarlo a salvare il mondo, soprattutto a fianco dei derelitti, feriti; ha camminato tra gli “scarti” della società e ha dato dignità ai poveri prodigandosi in ogni campo per alleviare le sofferenze e accendere un sorriso sulle labbra spente di molte persone.

La nostra Chiesa è la Chiesa dei santi. Non c'è nulla di grande nella Chiesa a confronto della santità: dalla tiara del papa alla croce pettorale del vescovo, tutto ha senso solo alla luce di questa santità, anzi «tutto il grande apparato di sapienza, di forza, di docile disciplina, di magnificenza e di maestà della Chiesa stessa non è nulla, di per sé, se la santità non lo anima».

La santità cristiana è il canto della concreta presenza di Cristo nella storia degli uomini, come fonte di ogni energia divina. Persa la nostalgia della santità, che è volontà di amore e di comunione da parte di Dio («la volontà di Dio è questa ‑ dice l'apostolo Paolo - che vi santifichiate»), ci siamo abituati a dividere i cristiani tra mistici ‑ quelli che stanno con la testa tra le nuvole - e i fabbricanti di giustizia umana, i quali corrono la tentazione di scordare che il santo è colui che, dopo aver adorato Dio, si mette in ginocchio davanti ad ogni uomo in difficoltà che incontra sulla sua strada.

Bacciarini ha camminato costantemente nei sentieri dei poveri. Come maestro ha insegnato e testimoniato con le sue omelie nella cattedra vescovile del duomo di San Lorenzo a Lugano; ha usato la penna per far giungere a tutti i diocesani sparsi nelle valli del Ticino il messaggio evangelico con le sue le lettere pastorali; ma soprattutto è stato pastore stando accanto al suo gregge; percorso sentieri impervi nelle valli per visitare personalmente gli ammalati, provvedendo alle esigenze materiali degli indigenti e a confermare nella fede i cresimandi oltre che a mantenere vive e vibranti di fede le associazioni cattoliche.

Era tanto il desiderio di stare insieme alla gente, di ascoltare le loro parole e come pure il suo impegno nel concedere una parola cordiale di partecipazione alle loro aspirazioni.  Durante una stagione invernale, in una parrocchia di montagna, per non lasciare privi di una buona parola tutti i parrocchiani ha tenuto una decina di omelie: in chiesa, al cimitero, ai bambini, alle mamme e alle diverse associazioni. Tutti avevano il diritto di una conoscenza personale con il padre delle loro anime.

Pur gracile di salute non si risparmiava nel diffondere la Parola di Dio in ogni modo e mezzo.  Come ogni creatura umana Bacciarini sentiva di portare nell’anima immensi valori pur nella fragilità di una vita minata da una lunga malattia. In un clima di latente affievolimento dei valori umani e cristiani, con il serpeggiare di correnti umanitarie, di fronte alla presenza della Massoneria, nel 1926, per far sentire la voce del popolo dei battezzati, riuscì a fondare un quotidiano, titolato simbolicamente: «Il Giornale del popolo». In quella circostanza scriveva ai giovani dell’Azione Cattolica: «Io non so quanto mi resta di vita, ma oggi faccio uno speciale testamento e affido a voi giovani cattolici la conservazione e la diffusione del giornale cattolico […] questa istituzione la dovete difendere e mantenerla a prezzo di qualsiasi sacrificio».

Aurelio Bacciarini è stato dichiarato “venerabile” da papa Benedetto XVI. Del vescovo Bacciarini senza tema di smentita possiamo usare una la tipica espressione di papa Francesco e possiamo dire che: il vescovo Aurelio per circa vent’anni è stato un pastore che ha condiviso “l’odore delle pecore”, ma soprattutto l’esperienza di fede del suo popolo del quale è stato amato e venerato. Bacciarini, sulla scia della spiritualità di Santa Teresa di Lisieux, ha sempre tenute unite due essenziali esigenze: la purezza del suo rapporto personale con Dio con dei vertici mistici di fraternità con Cristo e la paternità con il suo popolo, spendendosi senza risparmio per la gente che Dio gli aveva affidato per accompagnarli sulla via della salvezza».

La seminagione della “buona notizia” ha prodotto i suoi frutti, infatti, poche ore prima di lasciare questa terra, lo Spirito Santo ha donato una grande consolazione al vescovo Bacciarini: era il 27 giugno 1935 quando, al mattino, egli aveva firmato la pergamena con la quale decine di migliaia di famiglie della diocesi si erano consacrate al Sacro Cuore di Gesù. Era un sogno che Bacciarini aveva coltivato per anni sia nel costruire a Lugano la basilica dedicata al Sacro Cuore come pure la consacrazione delle famiglie al Cuore di Gesù.

Il corpo di monsignor Bacciarini, in attesa della risurrezione, è venerato nella cripta della stessa basilica del Sacro Cuore dove i fedeli lo pregano in attesa di un miracolo ottenuto per la sua intercessione così che la Chiesa lo possa canonizzare e presentarlo come un campione da imitare. 

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