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di Salvatore Alletto

Proprio nei giorni in cui ricordiamo il 154° anniversario dell’Ordinazione sacerdotale di don Guanella (26 maggio 1866) il mondo sembra vivere un tempo di emergenza e sospensione. Un impercettibile nemico spaventa l’umanità, la costringe a stare distante e chiusa in casa, in attesa di tempi migliori. Una situazione mai vissuta prima da questa generazione. Anche il XIX e XX secolo, secoli in cui visse don Luigi, videro alcune epidemie susseguirsi: il colera a più riprese e la cosiddetta “spagnola”. Don Guanella fece l’esperienza, anche se sembra non proprio diretta, dell’epidemia del colera. Quando, invece,  l’influenza spagnola colpì tutto il mondo fra il 1918 e il 1920 causando la morte di decine di milioni di persone in concomitanza con la Prima Guerra Mondiale, il nostro don Luigi era salito al Cielo da qualche anno.

Don Guanella non era certo tipo da perdersi d’animo e nel suo cuore c’era il ricordo di quanto fatto da don Bosco nell’estate del 1854 quando radunò 44 giovinetti per soccorrere gli ammalati intercedendo dal Signore per loro salute e salvezza in cambio della promessa di purezza di vita. Forse fu proprio pensando al Santo torinese che insieme alle prime suore di Pianello, nel 1884, come si legge ne Le vie della Provvidenza fremeva di desiderio per dare sostegno agli ammalati di colera di Napoli: «Andiamo fra i colerosi di Napoli per lavorare o morire». L’Arcivescovo di allora rifiutò l’aiuto. 

Ma questa volontà di mettersi al servizio durante le emergenze e i momenti di profonda crisi caratterizzò don Guanella fino alla fine della sua vita. Nel 1915, infatti, fu tra i terremotati di Avezzano nella Marsica a dare il suo sostegno dopo l’ennesimo tentativo rifiutato, ovvero quello del terremoto di Messina del 1908.

«Finirla non si può finché vi sono poveri da ricoverare e bisognosi a cui provvedere». E allora cosa farebbe don Guanella oggi? Di certo faticherebbe non poco anche lui a mantenere il distanziamento sociale, magari proprio nei confronti dei suoi buoni figli e dei suoi anziani, categorie molto colpite da questa pandemia. Di certo sarebbe in prima linea a soccorrere i bisognosi con un piatto caldo o con qualcosa di cui sfamarsi.

Stimolerebbe certamente ad usare tutti i mezzi di comunicazione, non per far rumore, ma per rafforzare quel vincolo di carità e comunione che da sempre lega le nostre case e comunità fra di loro, ma anche con chi è lontano.

Piegherebbe le ginocchia in preghiera e in adorazione sgranando il Rosario e la Coroncina della Provvidenza. Ogni giorno invocherebbe San Giuseppe patrono degli agonizzanti, affinché le vittime della pandemia del Coronavirus possano in fretta oltrepassare il traguardo del Cielo.  

Non solo, organizzerebbe la Speranza e il dopo, facendo leva sulla sua carità creativa e fantasiosa dimostrata fin da ragazzo, quando suggerì al padre di incanalare le acque di una sorgente di montagna per sollevare la popolazione. Provare ad immaginare cosa avrebbe fatto lui, ci aiuta a pensare cosa dovremmo fare noi, sacerdoti e popolo di Dio in cammino verso cieli nuovi e terra nuova.

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