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di Angelo Forti

Quando la vita si allunga nella cornice dei secoli anche gli anniversari si moltiplicano e le date significative di una famiglia diventano più numerose e costituiscono un invito a fermarsi per lodare Dio e cogliere nell’anima dell’avvenimento commemorato un raggio di luminosa speranza per il futuro.

I nostri occhi in questa circostanza sono fissi in un luogo singolare per la presenza di un’importante abbazia, e per il luogo che ricorda il martirio di San Paolo: le Tre Fontane alle Acque Salvie, a Roma.
In quell’abbazia proprio cento anni fa, in segreto, don Aurelio Bacciarini il 10 febbraio 1912 bussava alla portineria della Trappa per entrare definitivamente in un luogo dedicato esclusivamente alla preghiera, alla meditazione e al lavoro manuale.

Don Aurelio aveva trentanove anni, era nel pieno della sua maturità umana, da sei anni era aggregato all’Opera don Guanella e aveva speso abbondanti energie per aiutare la giovane congregazione a definirsi una fisionomia per una scelta di vita consacrata ben precisa.
Egli veniva dal clero diocesano di Lugano; il suo vescovo, infatti, nel 1906 gli aveva concesso il permesso di aggregarsi alla nascente congregazione guanelliana.
A Roma don Guanella era alla vigilia dell’inaugurazione della nuova chiesa di San Giuseppe al Trionfale e voleva mandare come parroco «il prete migliore della congregazione»: don Aurelio Bacciarini. Se per don Guanella era un onore e per la parrocchia un grande acquisito, don Aurelio non era soddisfatto di questa eventuale obbedienza. Si trovava al giro di boa della sua esistenza sacerdotale che desiderava maggiormente ricca di spiritualità e avvertiva l’arsura della «sete di Dio, sete del Dio vivente».
In una lettera a don Leonardo Mazzucchi scriveva: «Mi piange il cuore al pensiero del dispiacere che proverà don Guanella, ma…».
E allora don Aurelio, dopo aver salutato l’unica sorella in Svizzera, prese il treno e arrivò a Roma, ma si avviò non verso il quartiere Trionfale, ma sulla via Laurentina, all’abbazia dei monaci Trappisti.
«La radicalità - ha scritto in una ricerca don Fabio Pallotta - aveva guidato da sempre i suoi passi: staccarsi dalla sua casa di Lavertezzo per il seminario; lasciare la sua parrocchia di Arzo a mezza montagna del Mendrisiotto per andare padre spirituale nel Seminario di Pollegio; uscire dalla sua Diocesi per entrare tra i figli di don Guanella… sempre col chiodo fisso: cercare il più.  
Un’idea dominava le altre: ritrovare trasparenza, una voglia di ripulirsi che sapeva di espiazione e alla quale la vita della Trappa offriva la cornice giusta. Ne aveva anche parlato con don Guanella, ma ovviamente aveva trovato un muro invalicabile: figurarsi! Come lasciar andare don Aurelio?».
Don Bacciarini sapeva che è più faticoso e difficile vivere una vita mediocre che una vita da santo; la santità, infatti, rende l’animo libero dai pensieri della terra e apre con maggior facilità sul panorama di Dio.
Il 10 febbraio, memoria di Santa Scolastica, sorella di San Benedetto, fondatore del monachesimo in Occidente, da cui sono derivati anche i frati Trappisti, celebra la Messa nella chiesa di Santa Francesca Romana e con i pochi bagagli si avvia verso le Tre Fontane.
Secondo la regola dei trappisti il probando che desiderava entrare come monaco in abbazia doveva aspettare per tre giorni fuori dall’abbazia e solo il terzo giorno sarebbe entrato nella clausura. In quei tre giorni d’attesa, ricordava don Aurelio: «Stavo nella portineria molto primitiva, all’ora della refezione - e cioè una sola volta al giorno - un frate veniva a portarmi il cibo e, fatto un cenno, subito scompariva».
Don Aurelio passò quei giorni in preghiera e, nonostante il freddo, più volte ha sostato a lungo nel luogo che ricorda il martirio dell’apostolo delle genti San Paolo. Quando l’abate lo ammise nella comunità, gli chiese con quale nome avrebbe voluto chiamarsi, in ricordo di un fratello morto emigrante negli Stati Uniti, don Aurelio scelse il nome: Fra' Martino.
Don Aurelio si è unito a don Guanella perché desiderava vivere il suo sacerdozio in modo radicale e non si è mai accontentato di stare nella vita a livelli mediocri.
Alla sorella Rosa, prima di salire in treno per Roma, aveva consegnato due lettere da spedire dopo il 10 febbraio. Una era indirizzata a don Guanella e l’altra a don Alessandro Mazzucchi al quale era legato con sentimenti di fraterna amicizia.
Nella lettera a don Guanella si poteva leggere: «E ora mi prostro a chiederle perdono dei disgusti che Le ho dato in questi cinque anni, come chiedo perdono ai confratelli dei miei esempi cattivi.
La assicuro che in nessun giorno, in nessuna Santa Messa, dimenticherò il caro Istituto, perché la misericordia del Signore lo faccia crescere e fiorire. Mi benedica…».
Dopo una settimana di ricerche, di preghiere «perché l’agnello sbrancato torni all’ovile», conosciuta la meta di questa separazione la domenica 18 febbraio don Guanella, come un padre ferito per l’allontanamento di un figlio, lo raggiungeva alla Trappa. Il colloquio non sortì alcun risultato: deciso nella sua scelta Bacciarini, animato di fervoroso zelo per il suo ritorno don Guanella. Ci furono tre giorni di silenzio dalla Trappa e tre giorni di preghiera nelle case guanelliane. Finalmente dalla Tre Fontane poi una lettera «fredda, distante ma corretta: un figlio che prende le misure e dice le sue ragioni in faccia al padre».
Altri tre giorni di bufera interiore. Un padre che supplica e un figlio desideroso di percorrere strade impervie per una radicale dedizione a Dio: una passione accentuata per Dio e una passione spiccata per il povero.
Domenica 25 Febbraio don Aurelio lascia la Trappa per «restituirsi» a don Luigi.
Il mondo della contemplazione, anche se con qualche riluttanza, aveva perso una vocazione, al contrario, le congregazioni sia dei Servi come delle Figlie hanno trovato un saggio animatore per la continuità del carisma e, per i poveri, un fedele compagno di viaggio.
Dopo il ritorno dalla Trappa scrive alla sorella Rosa: «Alla Trappa ho trovato una vita austera e penitente: però - nel complesso - non ci trovai tutte quelle occasioni di sacrificio che vi sono alla Provvidenza: e il rimorso di essere andato alla solitudine quasi a cercarvi i miei comodi fu altro dei motivi che mi persuase al ritorno».
Mentre don Aurelio scriveva alla sorella, don Guanella mandava a dire a un amico: «la Colomba è entrata nell'Arca di Roma pentita, desolata, sollecita».
Per celebrare questo indicativo anniversario, il mondo dei guanelliani presente a Roma, domenica 26 febbraio 2012, si è ritrovato per celebrare questo centesimo anniversario con una Santa Messa di ringraziamento presieduta dal Superiore generale, padre Alfonso Crippa, per il dono «restituito» come «perla preziosa» dalla bontà di Dio alle nostre Congregazioni.

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