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Padre Ibrahim Faltas della Custodia francescana di Terrasanta racconta i due anni di pandemia a Betlemme e la preghiera fiduciosa a san Giuseppe

a cura di Alba Arcuri

Era l’8 dicembre del 2020 quando papa Francesco indiceva l’anno dedicato a san Giuseppe. In piena pandemia, perpetuava «l’affidamento di tutta la Chiesa al potentissimo patrocinio del Custode di Gesù».  Purtroppo la chiusura delle chiese, e poi la riapertura con  il distanziamento, è significato anche rimandare a casa qualcuno, invitarlo a seguire la messa a distanza, rinunciando all’Eucarestia. È accaduto in tutto il mondo, è accaduto in Terrasanta. 

Padre Ibrahim Faltas ofm, consigliere della Custodia di  Terrasanta, direttore delle scuole della stessa Custodia, ricorda quei giorni in un diario, che è divenuto un libro La Pandemia in Terrasanta (Edizioni Terra Santa), che va dalla Pasqua del 2020 fino a quella successiva. In esso descrive la  “solitudine” dei luoghi sacri solitamente affollati, le celebrazioni cancellate, la Pasqua del 2020 “umiliata e dimessa”, ma racconta la caparbietà nel volerli riaprire. A fine febbraio 2022 padre Ibrahim ha presentato il suo libro nella Parrocchia di Santa Prisca a Roma. Lo abbiamo incontrato.

Padre Ibrahim, come avete vissuto la memoria di san Giuseppe nell’anno voluto da papa Francesco?

Abbiamo vissuto quest’anno dedicato a san Giuseppe con molte iniziative e celebrazioni nei luoghi che a lui si richiamano: la casa di san Giuseppe a Betlemme e a Nazareth. Veramente abbiamo vissuto la sua memoria! A Betlemme abbiamo celebrato la messa tutti i giorni. 

È sentita la memoria di san Giuseppe?

Sì, è molto sentita! Parecchia gente ha partecipato alla messa, a Betlemme come a Nazareth.

Nel suo libro- diario lei racconta i giorni della pandemia in Terrasanta quando tutto venne chiuso…

La pandemia ha messo in ginocchio tutti, anche i capi del mondo. Noi francescani siamo presenti in Terrasanta da 800 anni e non ci era mai capitato di vivere una cosa così: non potevamo andare al Santo Sepolcro, alla Natività, tutto era chiuso, due anni senza pellegrini. Ma  noi abbiamo insistito perché le celebrazioni si facessero – eravamo all’inizio della quaresima del 2020.  Non è stato facile con le autorità israeliane e l’autorità palestinese, ma ce l’abbiamo fatta.

Quindi c’è stata collaborazione?

Certo, è stato un momento di collaborazione, di fratellanza, di amicizia; molti palestinesi sono stati vaccinati dalle autorità Israeliane. Abbiamo avuto tanti morti in Israele, in Palestina. La pandemia ha reso tutti uguali. Anche questo ha fatto la pandemia! Anche voi in Italia avete sofferto e molta gente a Nazareth e negli altri luoghi sacri ha pregato per voi. La Terrasanta vuole bene all’Italia.  Momenti difficili e momenti belli

Quali momenti belli ricorda?

Proprio durante la pandemia abbiamo riavuto, dopo 54 anni, il convento di San Giovanni Battista al Giordano, che era sotto la tutela israeliana. Quando siamo entrati c’era ancora il libro della messa chiuso. Abbiamo aperto la pagina, abbiamo celebrato la messa e poi ci siamo fermati, anche dopo. È stato bellissimo! Abbiamo anche riavuto, sempre dopo 54 anni, il collegio di Aleppo in Siria. E poi siamo tornati al Cenacolo, dopo 531 anni. Abbiamo potuto celebrare la messa del Giovedì santo e la Pentecoste. Mai, in 531 anni,  avevamo potuto pregare e celebrare la Messa al Cenacolo, a Gerusalemme! È sempre stato un nostro desiderio, da quando siamo in Terrasanta, da 800 anni. L’autorità israeliana ci ha concesso di farlo. 

Come è cambiata la gente in Terrasanta, con questa pandemia?

I cristiani di Terrasanta lavorano tutti nel settore del turismo. Da due anni non arrivano più pellegrini. Betlemme ha pagato il prezzo più alto: immaginate due anni senza lavoro! L’Autorità palestinese (Betlemme si trova nel territorio Palestinese, ndr), non ha potuto erogare aiuti perché, davvero, la stessa l’Autorità palestinese economicamente sta male. Da marzo dovrebbero tornare i pellegrini, speriamo.

Anche per voi francescani, vivere in solitudine, è stato un grosso cambiamento?

Eh, sì, nessuno lo avrebbe mai immaginato. Alla Via Crucis del Venerdì santo eravamo in quattro. La Domenica delle Palme eravamo in dieci. Pochissimi anche a Natale. Ma abbiamo fatto di tutto per poter celebrare lo stesso, abbiamo insistito anche se era pericoloso, perché? Perché abbiamo voluto pregare per il mondo intero, che aveva gli occhi puntati sui luoghi santi. E poi tutto è iniziato in Quaresima e al Santo Sepolcro, che è il cuore della liturgia pasquale. Certo, anche per noi è stata dura, abbiamo perso diversi frati per il covid.

La Basilica della Natività a Betlemme non era mai stata chiusa, se non in un momento particolare, quando l’esercito israeliano, nel 2002  l’assediò, perché dentro si erano asserragliati i palestinesi, e lei fece da scudo...

Sì, era durante la seconda intifada, sono passati 20 anni esatti da allora. Per 40 giorni siamo stati chiusi dentro con 240 palestinesi. 8 sono stati uccisi, 27 sono stati feriti. Siamo stati senza acqua, cibo , elettricità. E la Natività è stata chiusa 40 giorni.

Nel suo libro c’è anche un capitolo dedicato al viaggio del Papa in Iraq.

Sì, è un diario ed io ho raccontato anche quel momento. Il Papa è stato molto coraggioso! Anche tutto quello che ha detto, ha lasciato il segno. E poi abbiamo dei frati iracheni in Terrasanta, che volevano andare: abbiamo fatto di tutto per mandarli. è stato difficile, io stesso ho organizzato il viaggio, ma ci siamo riusciti.

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