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di Fabio Pallotta

Le suore guanelliane a Roma

Suor Marcellina era sempre la prima. La prima a chiedere, la prima a sapere, la prima a dire la sua all’occorrenza. Come spesso fanno le donne, di tanto in tanto rimproverava don Guanella di fare tutto da solo senza comunicare: accusa in parte vera perché da buon montanaro propendeva più per il vedo-penso-decido-faccio che per tante riunioni convocatorie; in parte esagerata perché se un pregio aveva don Guanella era quello della comunicazione.
La dava e la esigeva, come segno di amicizia e di povertà. Magari comunicava a cose… già fatte! E questo urtava suor Marcellina, che però gli perdonava tutto perché ne conosceva le intenzioni e il cuore buono.
Era la prima interlocutrice del Fondatore e anche sulle vicende romane si può ricostruire una cronaca in diretta proprio a partire dal loro carteggio.
La presenza delle Figlie di Santa Maria a Roma inizia con il Dicembre 1903, ma tutto è già in germe col viaggio in Palestina dell’anno precedente al quale don Guanella aveva appeso le speranze di trovare stanza a Roma; fin da subito pensava alle sue suore, perché quando si iniziava una fondazione era la ‘Casa Divina Provvidenza’ ad aprirsi e la Casa aveva figli e figlie, tanto che ancora dieci anni dopo, nel 1912, tra gli appunti negativi del Visitatore imposto dalla Santa Sede ai Servi si diceva: “Resta nella convinzione di tutti in Congregazione e quindi resta nello spirito di essa che i Servi e le Suore siano fratelli e sorelle, e che quindi le case debbano considerarsi come comuni”. Nell’Ottobre 1903, infatti, don Guanella assicura a Suor Marcellina che nella Colonia di Monte Mario sta facendo costruire una casetta per le Suore.
Per Roma, tuttavia, fin dall’inizio l’orientamento era una casa per i Servi e un’altra per le Figlie e sempre a Suor Marcellina ne scriveva la ragione nei giorni precedenti la partenza per la Terra Santa, a Settembre 1902: “Voi siete curiosa delle cose romane ed io ve ne compiaccio… Fate pregare molto se volete piantare casa qui. Tutti gli ordini religiosi qui hanno una sede”. Due congregazioni, due case ovviamente.
Per i sacerdoti le pratiche romane si sarebbero concluse nell’autunno 1903 con la Colonia agricola di San Giuseppe degli Stracciaroli sul Monte Mario; mentre per le suore la prima ipotesi era affiorata già prima, nel Maggio, quando don Luigi è a Roma per definire il tutto. Dunque di per sé sarebbero arrivate prime le Suore e poi i religiosi che allora ancora si chiamavano ‘Figli del Sacro Cuore’, ma poi le vicende presero un’altra piega.
Infatti gli si era prospettato di rilevare la casa di riposo per signore anziane dell’Istituto Nicola Calestrini. Si trattava di un’opera pia nata a metà dell’800 appunto grazie a Nicola Calestrini, amministratore delle finanze del Comune di Roma e maggiordomo della Contessa Vivaldi Della Porta.
Costui aveva iniziato ad ospitare signore anziane presso le scuderie della Residenza Vivaldi in Via dei Pontefici, adiacente al Mausoleo di Augusto e a pochi metri dalla Chiesa dei Santi Ambrogio e Carlo al Corso, dove aveva stanza la Confraternita dei Lombardi nella quale don Guanella era di casa. L’opera si manteneva con elargizioni private, con un assegno mensile erogato dall’Elemosineria Apo­stolica e un altro offerto dalla vicina Ambasciata di Spagna, oltre che con le pensioni delle stesse ricoverate. Il Calestrini era morto e anche il suo primo successore, l’amico Alessandro Aicardi, così l’Istituto in quegli anni viveva un momento di incertezza gestionale; se ne fece proposta a don Guanella che, forse, dopo una prima accettazione poco oculata, non dovette vederci chiaro e quindi lasciò in sospeso la cosa.
Da uomo di fede quale era aveva lasciato la regia della sua vita nelle mani della Divina Provvidenza e a lei si affidava, senza condizioni; parlando dell’Opera Calestrini, sul Bollettino di Marzo 1904 scriveva: “Stanno pendenti le pratiche per assumere la direzione di un Ricovero già costituito, protetto dal Santo Padre e dotato di speciali legati dall’Ambasciatore di Spagna. Sant’Antonio da noi interposto mediatore, appiani le difficoltà ovvero, se non è volere di Dio che passi nelle nostre mani quell’Istituto, ne faccia sorgere delle insormontabili”.
Così pregano i Santi; fammi scalare la montagna, o Dio. Oppure rendimela impossibile e saprò quello che vuoi.

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