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di Talia Casu

Simbolo oscuro, eppure notissimo, il pesce indica Cristo nella sua divinità
e nella missione salvifica. Segno familiare ai semplici cristiani, mostra la loro profonda comprensione della fede.

In un precedente articolo (n. 5, maggio-giugno 2023, pp. 18-19) abbiamo detto che le prime immagini utilizzate dai cristiani in riferimento alla propria fede sono simboli semplici, impressi su oggetti di vita quotidiana, su anelli, su epigrafi funebri o sulle decorazioni cimiteriali.

Il loro linguaggio estremamente sintetico, fatto di segni spesso non immediatamente decodificabili, ha indotto a pensare che si trattasse di un espediente per difendersi dalle autorità ostili. All’origine di questo equivoco c’è un passo dell’Octavius di Minucio Felice, in cui sono enumerate le innominabili colpe attribuite ai cristiani da parte dei pagani e l’uso di comunicare tra loro attraverso sigle misteriose: «Si riconoscono a vicenda con segni e gesti segreti». 

Tra le immagini-simbolo di cui si fa uso ricorrente nei primi secoli cristiani, vi sono quelle degli animali che, a motivo delle loro “dissimili somiglianze”, permisero di trasmettere concetti positivi e negativi. 

Una di queste immagini, forse la più famosa, è il pesce. Simbolo antichissimo, carico di una molteplicità di significati allegorici, il pesce appartiene alla serie di animali venerati con culto nelle antiche civiltà orientali, in Grecia e a Roma. La pratica di far uso dell’immagine del pesce in ambito letterario e figurativo, più che a un modello preciso, si potrebbe riferire al contesto culturale che si venne a creare nell’Impero romano per influsso delle filosofie ellenistiche, dedite all’interpretazione allegorico-simbolica. A quale modello la simbolica cristiana abbia attinto è tuttora oggetto di discussione. Una spiegazione si potrebbe certamente trovare nella frequente citazione del pesce nell’Antico (45 volte) e nel Nuovo Testamento (27 volte) in vari contesti, e in seguito nell’interpretazione tipologica dei Padri della Chiesa. 

L’immagine del pesce è presente nel suo molteplice valore simbolico fin dai primi tempi del cristianesimo ed è attestata nelle fonti letterarie e materiali dalla fine del II secolo. Conobbe una tale diffusione da diventare l’emblema del cristianesimo antico. Molteplici sono le attestazioni come molteplici sono i significati, per lo studio dei quali un prezioso contributo giunge dai Padri della Chiesa. 

Nella comunità cristiana delle origini, che pensava e parlava in greco, il pesce ha rappresentato Cristo, così come mostra il famoso acrostico ἰχθύς (ichthys, pesce) nel quale si cela la professione di fede nel Figlio di Dio: “Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore” (vedi ricostruzione dell’acrostico). Per questo motivo per gli antichi esegeti era naturale riconoscere Cristo nei numerosi passi biblici che menzionano il pesce e sono così interpretati come profezie cristologiche. 

Nell’iconografia cristiana le più antiche attestazioni sono in ambito funerario: il pesce è presente nelle scene a tema marino o associato all’àncora, simbolo della speranza nella vita eterna. Nella stele di Licinia Amias due pesci sono affrontati a un’àncora e accompagnati dalla scritta ΙΧΘΨΣ ΖΩΝΤΩΝ, ichthys zonton, “il pesce dei viventi”. È un riferimento alla risurrezione che, sciogliendo l’acrostico, possiamo leggere nel modo seguente: «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore dei viventi».

Ma il pesce compare anche sotto la specie del delfino, antico elemento decorativo che l’antica tradizione funeraria pagana voleva quale conduttore delle anime nelle isole dei beati. Nell’arte cristiana appare agli inizi del III secolo in particolar modo attorcigliato a un tridente, che in chiave decorativa e simbolica è letto come rappresentazione di Gesù sulla croce.

L’immagine del pesce, strettamente connessa con il suo habitat, è utilizzata in riferimento all’uomo. Il mare, l’acqua, nella sua duplice valenza positiva e negativa, gioca un ruolo rilevante nell’interpretazione simbolica del pesce: il mare, fonte di vita e allo stesso tempo causa di morte, nell’antichità era figura della vita umana con i suoi pericoli; alla luminosità del cielo si contrapponevano gli abissi oscuri e minacciosi. Il libro del Levitico (11, 10) distingue il pesce puro che ha squame e pinne che gli permettono di opporre resistenza alla forza delle acque (simbolo dell’anima capace di autocontrollo), da quello impuro. Troviamo ancora questa lettura allegorica nella parabola del regno dei cieli, «simile a una rete gettata nel mare» che accoglie tra le sue trame pesci di ogni genere (Mt 13, 47-50): i pesci puri sono i fedeli e pesci impuri gli empi. In Mt 4, 19 e Mc 1, 17 Gesù chiama i suoi apostoli a diventare “pescatori di uomini”.

I cristiani sono «divina stirpe del pesce celeste», la loro vita è legata inseparabilmente all’acqua: come il pesce non può vivere fuori dell’acqua, così «noi pesciolini, detti così dal nostro ἰχθύς (pesce) Gesù Cristo, nasciamo nell’acqua (del battesimo) e solo rimanendo nell’acqua siamo salvi» (Tertulliano). 

Vogliamo concludere trascrivendo il bellissimo testo della stele di Pectorio (inizio III sec.), rinvenuta ad Autun (Francia): 

Divina stirpe del Pesce celeste,

serba un cuore puro tra gli immortali, tu che hai ricevuto la fonte immortale delle acque divine.

Riscalda il tuo cuore amico, nelle acque perenni, con le onde eterne della munifica sapienza.

Prendi il cibo, dolce come il miele, del Salvatore dei santi.

Mangia a sazietà, bevi finché hai sete, tenendo il pesce nelle palme delle tue mani.

Nutrimi, dunque, del pesce, ti prego, Signore salvatore;

che mia madre riposi bene, ti supplico, o luce dei morti.

O padre Ascandio, carissimo al mio cuore, con la dolce madre e i miei fratelli, nella pace dell'Iχθύς ricordati del tuo Pectorio. 

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