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di Talia Casu

L’arte cristiana antica vede nella croce il segno della vittoria di Cristo. Ce lo testimoniano le scene relative alla sua Passione che fanno la loro comparsa nel IV secolo.

La prima comunità dei fedeli in Cristo sembra sottrarsi alla presentazione di scene o immagini violente. Così nelle figurazioni di episodi drammatici dell’Antico Testamento è colto il momento in cui il pericolo è passato: Noè, dentro l’arca, accoglie la colomba (Gn 8, 1-22); Daniele tra i leoni (Dn 6, 1-29; 14, 31-42); i tre giovani nella fornace (Dn 3, 1-97); Susanna accusata ingiustamente (Dn 13, 1-64); Giona nel ventre del pesce (Gio 1-4), sono esempi di liberazione per intervento di Dio, resa dal gesto delle braccia tese e le mani levate al cielo. Lo stesso accade per le scene che riguardano la vita di Cristo e in particolare per quelle relative alla sua Passione che fanno la loro comparsa nel IV secolo, con la fine delle persecuzioni e la libertà di culto anche per i cristiani concessa col cosiddetto Editto di Milano (313). 

Dal IV secolo la percezione e l’uso del simbolo della croce mutano profondamente, favoriti dall’adozione del segno della salvezza da parte di Costantino e dal ritrovamento, a Gerusalemme, delle reliquie della Vera Croce: la croce non è intesa come strumento di passione, ma segno di trionfo e di vittoria di Cristo sul male e sulla morte. Qui trova origine l’elaborazione dei sarcofagi detti “dell’Anàstasis” (risurrezione) o “di Passione”, nei quali abbiamo due modalità di lettura: quella narrativa delle scene della Passione del Signore e quella simbolica, data dall’immagine nella parte centrale del sarcofago, che rappresenta la Crocifissione e la Risurrezione. Tra i più antichi è il sarcofago rinvenuto nell’area del cimitero di Domitilla, databile al 350 circa e unico nel suo genere : la scena della coronazione di Gesù e del Cireneo riassumono l’intera Passione. Osserviamolo tenendo presente il susseguirsi degli eventi ultimi della vita terrena di Gesù. 

Gesù davanti a Pilato 

Mt 27, 3-26; Mc 15, 2-15;  Lc 23, 13-25; Gv 18, 28-19,1; 19, 4-16.

I due riquadri a destra ci introducono nel pretorio: Gesù è condotto davanti al governatore Pilato con le accuse mosse contro di lui dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo. Il Cristo, scortato da un soldato romano, indossa tunica e pallio, l’abito dei filosofi (simbolo della dottrina e della catechesi) che sottolinea che egli è il Maestro. La mano destra del Salvatore ha tre dita tese e due piegate: è il gesto della parola e rimanda al dialogo tra Gesù e il magistrato romano. Pilato è seduto su un sedile pieghevole (sella curulis), privo di braccioli e schienale, simbolo del potere giudiziario; alle sue spalle, la torre sul fondo ricorda che ci troviamo a Gerusalemme. Pilato non guarda verso Gesù, è voltato e porta la mano al mento: gesto che rivela la situazione di grande turbamento e timore che sta vivendo. Un servo, davanti a lui, porge un bacile e una brocca d’acqua: «Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa dell’acqua, si lavò le mani davanti alla folla: "Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!"» (Mt 27, 24). 

La coronazione di spine 

Mc 15, 16-20; Mt 27, 27-31; Gv 19, 1-3.

La prima scena della coronazione di spine la troviamo in un cubicolo del cimitero di Pretestato (III sec.): Gesù coronato di spine viene percosso sul capo con una verga. Resterà unica fino a quando sarà ripresa nel sarcofago (prima scena a sinistra) che stiamo osservando, nel quale assistiamo al momento in cui il soldato pone la corona sul capo di Gesù, ma osservando attentamente vediamo che la corona di spine è diventata un diadema gemmato, segno della gloria del Signore che si rivela nella sua Passione. Il gesto stesso del soldato rimanda al trionfo dei generali vittoriosi, scena molto familiare a chi osservava queste immagini. Nella mano, Gesù, tiene stretto il rotolo, simbolo della sua Parola, del suo insegnamento e della dottrina cristiana.

Il Cireneo 

Mt 27, 32-38; Mc 15, 21-27;
Lc 23, 26-34; Gv 19,17-24.

La mano del soldato sulla spalla del Cireneo nel sarcofago (seconda scena a sinistra) è un gesto di potere sulla sua persona e fa risuonare le parole del Vangelo: «Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a prendere su la croce di lui». 

La Crocifissione e Risurrezione

Mt 27, 62-66; 28, 1-15. 

La scena che campeggia al centro è l’Anàstasis: fonde in un unico simbolo la croce vera e propria al chrismon, il monogramma composto dalle prime due lettere del nome di Cristo in greco (Xpιστός, Christòs), racchiuso in una corona d’alloro. Accanto, due colombe si cibano dei suoi frutti, simbolo dei fedeli nutriti dei frutti della Risurrezione. Sotto la croce, due soldati accovacciati ricordano le guardie poste a custodia del sepolcro e che «tremarono tramortite» alla notizia della risurrezione.

La corona, quale segno di gloria del Signore e della sua vittoria sul male e sulla morte, è presente quattro volte nell’intera narrazione iconografica e trova nell’Anàstasis la massima espressione. Si pensa che questo densissimo simbolo cristologico sia stato elaborato per ricordare il centro di una rappresentazione iconografica o una decorazione forse presente nell’Anàstasis di Gerusalemme: la grande basilica che, dal tempo di Costantino, custodisce i luoghi della morte e risurrezione di Gesù. 

Oggi come allora queste immagini annunciano «la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto» (Evangelii gaudium 36). 

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