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Maturità per una emozione delicata

di Vito Viganò

            È il sentimento che si prova nell’offrire attenzione e partecipazione a chi sta vivendo condizioni penose, mostrando di esserne toccati. La si può considerare una variante dell’empatia, che è la qualità sociale che dà senso e dignità alle interazioni umane.

Empatia è anzitutto un fatto mentale: capire quel che l’altro vive e come lo vive. Vi si aggiunge un risvolto emotivo, se ci si sente coinvolti e se ne tiene conto nel modo d’interagire. Il sentimento diventa pietà quando si capisce che l’altro vive qualcosa di sgradevole e in qualche modo si vuole partecipare al suo disagio o al suo dolore.

            Provare pietà. Come emozione sociale, vissuta nell’ambito di una relazione, la pietà va provata internamente e nel medesimo tempo ha bisogno di essere esternata perché favorisca un interagire costruttivo. Si usano parole per esprimere la pietà e farla così conoscere a chi ne è oggetto. Sovente non occorrono parole per percepirla; traspare già dalla semplice presenza, con un’intensa espressione non verbale, nella mimica facciale in prevalenza, e nella posizione del corpo. Sentire vicino qualcuno, che si mostra partecipe ai fastidi che si provano, è una delle delicatezze benefiche del vivere sociale. Alle volte l’avere pietà è l’unica forma di contributo che si può offrire a chi soffre o si trova in difficoltà. E fa bene anche a chi prova questo sentimento e lo esprime, come momento privilegiato nel rapporto che intrattiene con l’altro.

            Mi fai pietà. Succede che la pietà assuma una connotazione contorta e negativa, quando la pena per la sofferenza e la fragilità dell’altro viene contagiata da una venatura di commiserazione e di disprezzo. È l’avere pietà del nemico vinto, o il «Mi fai pietà!» detto a qualcuno in tono spregevole. Ben diverse risultano in questo caso, e facilmente riconoscibili, la mimica e il tono delle parole pronunciate. Quel che si esprime non è più la tristezza per la sofferenza altrui, quanto piuttosto una forma di rabbia, consolatoria forse se intende dire che almeno verranno risparmiate ulteriori sofferenze.

            Pratiche di pietà. Più in linea col latino pietas, in un contesto religioso, “pietà” indica il dedicarsi a una pratica di devozione. Chi ha fede riserva tempo per una sua vita di pietà e di qualcuno, a volte, si dice che ha una pietà profonda. La parola significa allora l’occuparsi d’interagire con Dio, con un risvolto emotivo che è di gioia. È il piacere del tempo in cui ci si intrattiene con Dio, praticando un rituale appropriato, grazie al quale si percepisce più viva la presenza del divino e se ne gode più profondo il contatto.

            Maturità emotiva. È curioso come la stessa parola possa indicare vissuti emotivi ben diversi: la gioia di un contatto con Dio, una rabbia che disprezza, una presenza amichevole e partecipe con chi soffre. Giostrare tra le variazioni emotive possibili nel vivere di ogni momento, con l’accortezza di adottare lo stato d’animo che dà senso e dignità al vivere proprio e altrui: questa è la sfida continua di una maturità emotiva.

 

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