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di Giovanni Cucci

 

Questo percorso di conoscenza di sé non è certo opzionale: senza una sufficiente chiarezza si corre il rischio di scegliere una cosa mentre in realtà si stava cercando altro: in questo modo il desiderio non è in grado di esprimere la sua verità. Malauguratamente alcune persone intraprendono decisioni importanti nella propria vita senza prepararvisi adeguatamente, seguendo l’impulso del momento. E può accadere che soltanto dopo diversi anni, quando le scelte fondamentali sono già state compiute, ci si renda conto con amarezza dell’equivoco. Non è infrequente il caso di chi confonde la bellezza di riscoprire la propria vita di fede o di vivere con più intensità il rapporto con il Signore con la chiamata alla vita consacrata, scegliendo sull’onda dell’entusiasmo del momento, senza punti di riferimento adeguati, senza riconoscere le modalità ed i tempi opportuni. La chiamata è del Signore, certamente, lo Spirito opera in noi, e anche questo è indubbio, ma tutto ciò non esime la persona dalla fatica di mettere ordine nella propria vita; come ricorda S. Tommaso, la grazia lavora sulla natura, e il Signore non fa le cose al posto nostro.

Quando questi nodi irrisolti esplodono, possono anche compromettere la stessa vita di fede: «Una persona indotta a rinunciare prematuramente a certi desideri ancora male ordinati, aggrovigliati tra loro e che servono ancora da travestimento o da esca ad altri desideri ben più vitali e importanti, rischia, con una rinuncia del genere, di rimuovere anche il bisogno vitale che si nasconde dietro ad essi. Con il pretesto della rinuncia [la persona], rischia di amputarsi. Il desiderio vitale così rimosso continuerà a lavorare nell’inconscio e non tarderà a riapparire sotto altri travestimenti, in forme sempre più sottili o ridicole. Nel caso, invece, di una rinuncia veramente positiva, è il contrario che avviene. Questa presuppone che si sia innanzitutto lasciato affiorare il desiderio alla coscienza e che se ne sia presa conoscenza, pacificamente e oggettivamente»(A. Louf). Da qui l’importanza di trovare tempo e strumenti per fare chiarezza sui propri desideri, per non sprecare la propria vita. Come nella parabola del tesoro trovato nel campo, l’unica rinuncia autentica viene compiuta in forza di un desiderio più grande, è un “lasciare” che si compie soltanto per amore. Un suo inconfondibile segno di riconoscimento è la gioia di cui parla la piccola parabola di Mt 13,44-46: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo». Per realizzare ciò, come in quella parabola, occorre la volontà, la decisione come luogo di verità del desiderio; quando è accompagnata dall’affetto proprio dell’amore ordinato (secondo le caratteristiche presentate negli articoli precedenti), come avviene nella “gioia” della parabola, essa è pronta ed efficace. Questa scelta richiede certamente anche delle rinunce, inevitabili in ogni azione. Per rimanere nella parabola, entrare in possesso del tesoro comporta la decisione di vendere tutto, perché non c’è desiderio autentico che possa essere realizzato senza il sacrifico di qualcosa, ma è la gioia inaspettata che porta a “giocarsi” con generosità. Questa gioia che dura nel tempo e non si ferma di fronte alle difficoltà è una conferma della bontà della scelta compiuta; una scelta che ha realizzato il desiderio, pur comportando rinunce, ha espresso la verità del desiderio più profondo, un desiderio libero e non più “compulsivo”: «Gli unici criteri di una rinuncia feconda sono l’amore e la gioia. Questo è anche il criterio ultimo posto da Benedetto per permettere a un monaco di aggiungere qualcosa alla propria ascesi abituale durante la quaresima: che sia capace di farlo nella gioia dello Spirito santo. Solamente la nostra gioia più profonda permette un vero discernimento dei nostri desideri. Solo essa può autenticare la rinuncia» (A. Louf).

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