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di Madre Anna Maria Cánopi osb

Nulla nella nostra vita avviene a caso. Su ciascuno di noi c’è un disegno di Dio che egli stesso porta a compimento predisponendo i mezzi  e le circostanze favorevoli, richiedendo da parte nostra la docilità, la libera adesione – per fede – alla sua volontà.
Mi spiego così il fatto che i miei genitori – nonostante le difficoltà economiche – mi abbiano fatto continuare gli studi, mentre i miei fratelli e le mie sorelle, non meno intellettualmente dotati di me, furono avviati ben presto al lavoro. Forse c’era anche il motivo della mia gracile costituzione fisica. Per tutti i familiari, comunque, andava bene così e, senza ombra di gelosia, si compiacevano di quel che imparavo anche per loro.
Gli anni degli studi furono da me vissuti come in continuo e fiducioso esodo.

 

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di Ottavio De Bertolis s.j.

Abbiamo già accennato al senso profondo del sesto comandamento, che non è quello di reprimere, ma di liberare la nostra affettività e la nostra stessa sessualità. Infatti è evidente che queste pulsioni possono essere disordinate e essere vissute in modo distruttivo, cioè non umano, ma semplicemente animale: vissute così, non sono nemmeno appaganti, proprio perché l'amore non è una semplice meccanica di organi, ma un accordo di anime, o, se preferite, di cuori. Ognuno di noi, sposato o no, laico o sacerdote, è segnato dal bisogno profondo di amare ed essere amato: se si pensasse che la castità consista nel sopprimere questo, si sarebbe completamente fuori strada. In questo senso, come accennavamo, il sesto comandamento non ci insegna a reprimere, ma ad integrare e a vivere più pienamente il mondo dei nostri affetti, perché è invece possibile viverli malamente o “di meno”.

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di Gianni Gennari

Riprendiamo da Abramo, il capostipite della fede ebraico-cristiana. Lui è quello che “ha creduto” ad una parola di Dio creatore ed è partito, lasciando tutto, verso una realtà ignota, forte dell’ascolto della chiamata come base e fondamento sicuro (il primo senso del “credere”, batàh) e fiducioso nello slancio fiducioso che lo spingeva in avanti (il secondo senso del credere, amàn), come abbiamo visto negli incontri precedenti.

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di Enrico Ghezzi

San Paolo nelle lettere indirizzate ai Romani e ai Galati, a proposito del confronto assai polemico col mondo ebraico (da cui Paolo veniva e nel quale era stato severamente educato), insiste sul rapporto che corre tra la Legge e la fede in Dio che “giustifica”.
L’apostolo fonda la sua dottrina della ‘giustificazione’ (= essere liberati dal peccato e partecipare alla eredità dei figli di Dio), ricorrendo alla fede di  Abramo, il padre del popolo ebraico: Paolo afferma che in lui, in Abramo, anche i popoli pagani (oggetto della sua infaticabile predicazione), pur non conoscendo ancora Dio, sono chiamati, poiché il Signore aveva già ‘benedetto tutte le nazioni’ (Gal 3,8; cfr. Gen 12,3); e poiché la ‘fede’ di Abramo ‘gli fu accreditata come giustizia’ (Rm 4,8), Abramo può essere riconosciuto come ‘padre di tutti noi’ (4,16): da qui, la solenne proclamazione di Paolo: ‘di conseguenza quelli che vengono dalla fede, sono benedetti insieme ad Abramo, che credette’ (Gal 3,9).

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