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di Paolo VI

Ai lavoratori cristiani è affidata la missione
di testimoni e apostoli di Cristo.

Celebriamo la festa di san Giuseppe, patrono della Chiesa Universale. È una festa che interrompe la meditazione austera e appassionata della Quaresima, tutta assorta nella penetrazione del mistero della Redenzione e nell’applicazione della disciplina spirituale, che la celebrazione d’un tale mistero porta con sé. È una festa che chiama la nostra attenzione a un altro mistero del Signore, l’incarnazione, e c’invita a ripensarlo nella scena povera, soave, umanissima, la scena evangelica della sacra Famiglia di Nazareth, in cui quest’altro mistero si è storicamente compiuto. 

La Madonna santissima ci appare nell’umilissimo quadro evangelico; accanto a lei è san Giuseppe, in mezzo a loro Gesù. Il nostro occhio, la nostra devozione si fermano quest’oggi su san Giuseppe, il fabbro silenzioso e laborioso, che diede a Gesù non i natali, ma lo stato civile, la categoria sociale, la condizione economica, l’esperienza professionale, l’ambiente familiare, l’educazione umana. Bisognerà osservare bene questo rapporto fra san Giuseppe e Gesù, perché ci può far comprendere molte cose del disegno di Dio, che viene a questo mondo per vivere uomo fra gli uomini, ma nello stesso tempo loro maestro e loro salvatore.

È certo innanzi tutto, è evidente, che san Giuseppe viene ad assumere una grande importanza, se davvero il Figlio di Dio fatto uomo sceglie proprio lui per rivestire sé stesso della sua apparente figliolanza. Gesù era detto filius fabri (Mt 13, 55), il figlio del fabbro; e il fabbro era Giuseppe. Gesù, il Cristo, ha voluto assumere la sua qualificazione umana e sociale da questo operaio, da questo lavoratore, ch’era certamente un brav’uomo, tanto che il Vangelo lo chiama «giusto» (Mt 1, 19), cioè buono, ottimo, ineccepibile, e che quindi assurge davanti a noi all’altezza del tipo perfetto, del modello d’ogni virtù, del santo. Ma c’è di più: la missione che san Giuseppe esercita nella scena evangelica, non è solo quella della figura personalmente esemplare e ideale; è una missione che si esercita accanto, anzi sopra Gesù: egli sarà creduto padre di Gesù (Lc 3, 23), sarà il suo protettore, il suo difensore. Per questo la Chiesa, che altro non è se non il Corpo mistico di Cristo, ha dichiarato san Giuseppe protettore suo proprio, e come tale oggi lo venera, e come tale lo presenta al nostro culto e alla nostra meditazione. Così oggi s’intitola la festa: dicevamo, di san Giuseppe, protettore di Gesù fanciullo, durante la sua vita terrena, e protettore della Chiesa universale, ora ch’egli guarda dal cielo tutti i cristiani.

Ora fate attenzione. San Giuseppe era un lavoratore. A lui fu dato di proteggere Cristo. Voi siete lavoratori: vi sentireste di compiere la stessa missione, di proteggere Cristo? Lui lo protesse nelle condizioni, nelle avventure, nelle difficoltà della storia evangelica; voi vi sentireste di proteggerlo nel mondo in cui siete, nel mondo del lavoro, nel mondo industriale, nel mondo delle controversie sociali, nel mondo moderno?

Forse non pensavate che la festa di san Giuseppe potesse avere delle conclusioni così inaspettate e così direttamente rivolte alle vostre scelte personali; né forse aspettavate che fosse il Papa a delegare a voi una funzione che sembra tutta sua, o almeno più sua che vostra, quella di difendere e di curare gli interessi di Cristo nella società contemporanea. Eppure è così. 

Carissimi Figli! AscoltateCi bene. Noi pensiamo che il mondo del lavoro abbia bisogno e abbia diritto d’essere penetrato, d’essere rigenerato dallo spirito cristiano. Questo è un primo punto fondamentale, che meriterebbe un lungo discorso […]: o il mondo sarà pervaso dallo spirito di Cristo, o sarà tormentato dal suo stesso progresso fino alle peggiori conseguenze, di conflitti, di follie, di tirannie, di rovine. Cristo è più che mai, oggi, necessario. 

Secondo punto: chi riporterà, o meglio porterà (tanto è profonda la diversità del mondo del lavoro di oggi da quello di ieri), chi porterà Cristo nel mondo del lavoro? Ecco: Noi siamo convinti, come lo erano i Nostri venerati Predecessori, che nessuno meglio dei lavoratori stessi può compiere questa grande e salutare missione. Gli aiuti esterni, le condizioni d’ambiente, l’assistenza di maestri, eccetera, sono certamente fattori utili, necessari, anche, sotto certi aspetti; ma il coefficiente indispensabile e decisivo per rendere cristiano, e cioè per salvare il mondo del lavoro, dev’essere il lavoratore stesso. Bisogna rigenerare questo mondo, ancora tanto inquieto, tanto sofferente, tanto bisognoso e tanto degno, dal di dentro, dalle risorse di energie, di idee, di persone, di cui ancora è ricco. Cristo oggi ha bisogno, come già nella sua infanzia evangelica, d’essere portato, protetto, alimentato, promosso in seno alle categorie lavoratrici, da quelli stessi che le compongono; o, per meglio dire, da coloro che in seno alle classi lavoratrici sentono la vocazione e assumono la missione di animare cristianamente le schiere dei colleghi di fatica e di speranza.

Quello che preme ora a Noi di farvi notare, per bene celebrare la festa odierna e per fissare un ricordo vivo e operante nei vostri spiriti, è la stima che la Chiesa professa nella vostra capacità di difesa e di diffusione dell’ideale cristiano; è la scoperta del disegno provvidenziale che riposa sopra di voi, e che ammiriamo prodigiosamente compiuto nell’umiltà e nella fedeltà di san Giuseppe: potere cioè e dovere voi stessi essere i tutori, essere i testimoni, essere gli apostoli di Cristo nella vita sociale e nel mondo del lavoro dei nostri giorni.

Ci accorgiamo di chiedere molto! Sì. È un atto di fiducia, che mostra non facili doveri e impegna a non lievi fatiche. Ma confidiamo di non chiedere invano: non è vero, figli carissimi? 

Omelia nella solennità di san Giuseppe, 19 marzo 1964. 

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