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di Mario Sgarbossa


Giuseppe, falegname e carpentiere per tradizione familiare, insegna il mestiere a Gesù, appena l’adolescente è in grado di manovrare i vari attrezzi. Il lavoro manuale per gli ebrei è sacro. Rabbini e sacerdoti del tempio, e gli stessi maestri della legge (detti impropriamente dottori della legge), hanno come Giuseppe i calli alle mani. Nel Qoèlet (o Ecclesiaste, come si traduceva fino a pochi anni fa il quarto dei libri didattici dell’Antico Testamento) si legge: “Accanto allo studio procurati un mestiere”.

Parole sante, per cui il fondatore della Famiglia Paolina, il beato Giacomo Alberione, uomo pratico, raccomandava il fai da te ai suoi religiosi e religiose, in ogni attività. E il Talmud rincara: “Il lavoro migliore non è il lavoro intellettuale, ma quello della terra anche se meno vantaggioso. Un ebreo, maestro della legge al tempo in cui visse Giuseppe, finita la lezione, andava nel bosco a fare il taglialegna. Lo imiterà un celebre primo ministro della regina Vittoria d’Inghilterra, che quand’era libero dagli impegni di governo, si armava di sega e scure e si recava nel bosco a procurarsi la legna per l’inverno. Così Giuseppe non si accontentò di esercitare il solo mestiere di falegname, ma imparò anche la tecnica del carpentiere riguardante la costruzione di strutture portanti in legno o in metallo.

E tale mestiere egli insegnò al figlio, pur essendo consapevole che sotto i panni del ragazzo (suo figlio per l’anagrafe) era celato il Messia, non destinato alla pialla o all’incudine. Una verità di non facile interpretazione com’è difficile ogni indagine sul mistero, per cui il santo teologo e filosofo Anselmo d’Aosta, autore del breve ma importante trattato intitolato Cur Deus homo (perché Dio si è fatto uomo) consigliava il metodo da lui seguito: Credo ut intelligam, credo per capire. Dunque Giuseppe ebbe nella sua bottega un apprendista eccezionale come Gesù fin dall’età scolare, per cui si possono formulare varie ipotesi su entrambi. Ipotesi su Giuseppe e Gesù: due vite come in vasi comunicanti? Tra le pagine dell’Antico Testamento possiamo cogliere parole che ben si adattano alla statura umana e spirituale di Giuseppe, come ad esempio questo brano in cui Tobia raccomanda al figlio una condotta di vita che lo faccia crescere come uomo giusto davanti a Dio e agli uomini.

Giuseppe conosceva la Bibbia e avrà certamente ripetuto anche queste istruttive parole all’adolescente Gesù: “Non fare a nessuno ciò che non piace a te. Da’ il tuo pane a chi ha fame e fa’ parte dei tuoi vestiti agli ignudi. Chiedi il parere a ogni persona che sia saggia. In ogni circostanza benedici il Signore e domanda che ti sia guida nelle tue vie e che i tuoi sentieri giungano a buon fine (dal libro di Tobia 4,15). Ecco dunque alcune ipotesi che tracciano il profilo di Giuseppe, l’uomo posto da Dio come maestro (e quale pedagogo!) accanto al Figlio. Dal padre terreno Gesù non apprese soltanto l’arte del falegname, ma anche la condotta del vivere quotidiano, le regole morali e la conoscenza della sacra Scrittura che stupirà i maestri della legge nei tre giorni in cui il dodicenne Gesù si sottrasse alla custodia dei genitori per occuparsi della missione affidatagli dal Padre. L’evangelista Giovanni scrive che Gesù era Dio, egli era al principio con Dio, era la sapienza increata, dunque non aveva bisogno di maestri e di apprendere le verità rivelate dalla lettura dei sacri testi.

Vero Dio, ma anche vero uomo e come tale apprendeva fin dalla fanciullezza quelle conoscenze pratiche del vivere quotidiano alla scuola del padre, Giuseppe, del cui esempio uniformava la sua condotta, lo stile di vita e il modo di esprimere il suo pensiero. Come spiegare allora quel volontario smarrimento nel tempio che causò tre giorni di indicibile angoscia in Maria e Giuseppe? Perché un ragazzo obbediente come Gesù non aveva avvertito i genitori, alla cui custodia si sottrasse a dodici anni? Al velato rimprovero della madre Gesù diede una risposta che lasciò interdetti i genitori: “Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose che spettano al Padre mio?” No, non lo sapevano, almeno fino a quel punto. Giuseppe preferì il silenzio. Un silenzio più eloquente di tante parole.

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