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Il venerabile Giuseppe Quadrio

Chissà se le femministe no­strane sottoscriverebbero l’as­serto che “l’amore della donna determina sempre il modo di amare dell’uomo”. A formularlo è stato un sacerdote salesiano, morto poco più che quarantenne in concetto di santità, nella metà del secolo scorso, don Giuseppe Quadrio. Lo aveva capito fin da fanciullo quando, a soli dieci anni, si era affidato a quella che sarebbe stata l’unica donna della sua vita, la Madonna, emettendo nelle sue mani il voto di verginità perpetua. L’esempio gli veniva dal Santo di cui egli stesso portava il nome, lo sposo purissimo di Maria e padre di  Gesù e di cui per tutta la vita sarà molto devoto.
Forse, come per don Guanella, sarà stata l’aria delle sue montagne valtellinesi fra le quali era nato a fargli respirare la bellezza di tutto ciò che è puro. A pochi chilometri dal suo paese natale, Vervio, la Madonna era apparsa  agli inizi del Cinquecento e continuava va dispensare le sue grazie nel santuario di Tirano, dove sicuramente il piccolo Giuseppe veniva sovente condotto dalla mamma.
Si plasmerà ad una spiritualità cristocentrica e mariana, che diventerà il suo programma di vita: “Essere solo tuo [Maria] e di Gesù per sempre”.
Scelte così radicali in tenera età trovano ragione in una mozione interiore dello Spirito Santo e possono essere capite solo da chi ne fa l’esperienza; già Pascal nei suoi aforismi aveva sottolineato che il cuore ha delle ragioni che non sempre la mente può spiegare.
Ancor oggi adolescenti come la beata Chiara Badano e Carlo Acutis, un quindicenne milanese deceduto sei anni fa dopo una eroica vita cristiana, sono la testimonianza viva di una Chiesa a volte imprevedibile nelle espressioni della Grazia.
Don Bosco in Valtellina è di casa, nella struttura educativa del capoluogo e nella persona di numerosi salesiani esemplari ai quali la valle ha dato i natali. Ma lo è anche attraverso il Bollettino Salesiano, che ai tempi di don Quadrio si chiamava ancora Meridiano 12, continuatore ideale delle Letture Cattoliche volute da don Bosco. Fu per il quindicenne Giuseppe lo strumento di conoscenza delle opere salesiane, che suscitarono in lui il desiderio e poi lo spinsero a entrare nel noviziato della Congregazione. Sacerdote brillantemente laureato alla Gregoriana a Roma, insegnante presso l’Ateneo Teologico Salesiano di Torino (che poi, trasferito a Roma,  sarebbe diventato la Pontificia Università Salesiana), formatore di giovani e brillante pubblicista, aveva tutti i numeri per “fare carriera”. Invece preferì sempre una vita di umiltà e di raccoglimento, che lo avvicinava a quella del suo patrono.

L’amore “verginizzatrice” di Maria

Il concetto centrale per descrivere la personalità di San Giuseppe è per don Quadrio quello della forza “verginizzatrice” che Maria ha ispirato in lui, il primo giovane nel quale si sia mai imbattuta, avvolgendolo nel clima di purità che pervade qualsiasi giovane o fanciulla che le è devoto.
Rappresentare San Giuseppe come un vecchio è mortificarlo “un uomo incapace di amare”: invece “tutto ci fa pensare che Giuseppe, al momento delle nozze, fosse un giovane forte, virile, casto, padrone di sé… ardente di amore, un fiore pieno di promesse e di forza”.
Ma è anche svilire il suo matrimonio con Maria, quasi a dire che è stato soltanto poco meno di una farsa. Invece “Il matrimonio di Giuseppe con Maria fu perfettamente verginale. Questa è una verità di fede legata al dogma della verginità perpetua della Madre di Dio”, ma perfettamente vero.
Vuole aiutare a capire la bellezza e la verità di questo matrimonio con un paragone: due giovani sposi, chini sulla culla del loro neonato, dimenticano se stessi e quasi non si accorgono di avere dei corpi, vedendo in lui la realizzazione del loro amore.
Per Maria e Giuseppe questa realizzazione è il Bambino Gesù: “Quale fu il vincolo che consumò l’amore coniugale di Maria e Giuseppe? Tale vincolo non poteva essere la carne, perché la consumazione del loro amore era in Gesù”.
Scrive che “L’essenza del matrimonio umano è lo svelare il mistero profondo del proprio essere ad una creatura, donandoglisi anima e corpo, con un abbandono completo, esclusivo e definitivo”. Pure escludendo l’aspetto propriamente materiale, le poche indicazioni del Vangelo offrono una visuale della Santa Famiglia in piena sintonia con questi valori.

In questa idea della forza “verginizzatrice” di Maria emerge l’esperienza dell’educatore esperto del mondo giovanile salesiano, dove la devozione mariana riconduce al sogno di don Bosco, in cui le due colonne di salvezza dalle tempeste del male sono costituite dall’Eucaristia e dalla Madonna.
Coloro che si consacrano a Dio nella vita religiosa rivivono l’esperienza di San Giuseppe quando accolgono il celibato non come un obbligo, ma come un dono di cui rallegrarsi e che li spinge a donarsi totalmente alla persona amata. Avrà Giuseppe avuto possibilità di conoscere altre fanciulle? Non lo sappiamo, ma i dati biblici affermano che Maria è stata scelta come l’unica che facesse per lui e a lei egli si è donato con  entusiasmo, come tassello fondamentale nel grande mosaico del progetto di salvezza che si stava compiendo.  Si è donato con il suo corpo, offrendo le energie fisiche di lavoratore per il mantenimento quotidiano;  con il suo cuore, amando liberamente e con gioia, come appare nell’episodio del ritrovamento di Gesù nel tempio: “Tuo padre e io angosciati”, e non si prova angoscia per chi non si ama; con lo spirito, perché è definito “giusto”, che vive di fede.
Così, ricorda, chi accoglie il celibato deve essere “uno sposo amante e appassionato”, perché in caso contrario potrà forse essere sempre fedele ai suoi impegni, ma non sarà mai un modello di consacrato.
Protettore della Chiesa
Chi è devoto di San Giuseppe non può non avere a cuore la Chiesa, di cui è costituito protettore, perché  di lei ha avuto cura nella persona del suo primo Capo, Gesù, salvandolo anche dai pericoli. Inoltre, incarnando nella sua persona la purezza e la semplicità evangelica, è invito a vivere quel “ritorno al Vangelo” che era uno degli auspici del Concilio.  Don Quadrio morirà nel 1963, offrendo la sua vita per il Concilio Vaticano II, iniziato l’ottobre dell’anno precedente.  La celebrazione della Santa Messa per don Quadrio seguiva il rito di San Pio V, non essendo ancora avvenuta la riforma liturgica voluta dalla Costituzione conciliare  Sacro­sanctum Concilium. Era quindi per lui abituale la recita delle cosiddette “preci leonine”, dette dal sacerdote inginocchiato all’altare, che  imploravano anche l’intercessione di San Giuseppe per la conversione dei peccatori e la protezione della Santa Chiesa. “Pro­tector Sanctae Ecclesiae” era l’invo­cazione che Pio IX nel 1870, in tempi burrascosi per il mondo cattolico, aveva inserito nelle litanie di San Giuseppe, costituendolo Patrono della Comunità ecclesiale. E avrà certamente esul­tato per l’intro­duzione del nome di San Giuseppe nell’antico e venerando Canone Romano, voluta da Giovanni XXIII. Papa Benedetto XVI è un instancabile assertore della necessità di ri-evangelizzare la Chiesa, restituendo nel popolo cristiano la primarietà dell’adorazione e della fede in Dio. Quella fede che  in San Giuseppe fu ”generosa, eroica, pronta e amorosa”.
Generosa nell’offrire tutto il suo amore verginale a Maria; eroica nello sfidare le prescrizioni legali accogliendola nella sua casa; pronta nell’ubbidire senza discutere al comando di fuggire in Egitto e poi tornare a Nazareth; amorosa quando volgeva lo sguardo a quel figlio che lo chiamava padre.

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